bocciato
Il contratto di espansione non va, no alla pensione anticipata con lo scivolo aziendale
Troppo costosa per le aziende e poco conveniente per i lavoratori. I sindacati bocciano senza appello l'idea del governo di abbassare la soglia, attualmente fissata a 100 dipendenti, del contratto di espansione che prevede la possibilità per il lavoratore che si trova a 5 anni dalla pensione di uscire con l'assegno pagato direttamente dall'azienda. Che avrebbe dalla sua un risparmio complessivo formato da minori contributi da pagare più il recupero della Naspi, l'indennità di disoccupazione, per due anni.
I rappresentanti dei lavoratori considerano questa ipotesi di lavoro insufficiente per superare la Quota 100 in scadenza a fine anno e anzi hanno paventato il rischio di un insuccesso perché giudicata troppo onerosa per le aziende e usabile, per questo, solo dalle imprese più grandi. In attesa della riforma dei nuovi ammortizzatori per superare lo stop ai licenziamenti che scade a giugno le organizzazioni sindacali premono per una riforma anche della previdenza che potrebbe fungere anche da paracadute per frenare l'ondata di esuberi attesa.
Finora l'unica ipotesi sul tavolo è quella del contratto di espansione. Ma così come prospettato non va. «Se non si modificano i criteri di accesso ha spiegato il segretario confederale della Cgil Roberto Ghiselli - si rischia il flop. Per le aziende pagare l'importo della pensione maturata per cinque anni recuperando la somma della Naspi per due anni è troppo costoso. Ma se l'accordo è solo per due anni non conviene al lavoratore che preferirà andare in Naspi perché almeno avrà i contributi».
Il contratto di espansione così come strutturato è pere) meno oneroso della cosiddetta «isopensione» che prevedeva il pagamento integrale per gli anni di anticipo del dipendente integralmente a carico dell'azienda comprensivo dei contributi. Con il contratto di espansione i contributi dall'azienda sono dovuti solo nel caso che l'accesso sia per la rendita anticipata e non per l'accesso alla pensione di vecchiaia.
Inoltre l'azienda recupera una parte dell'indennità pagata al lavoratore pari alla Naspi per il periodo massimo (due anni). Dunque c'è un minore esborso non considerato abbastanza per i sindacati che chiedono più risorse al governo e un nuovo tavolo sulla previdenza. Intanto a calcolare quanto possa costare l'applicazione del contratto di espan sione è stata di una retribuzione lorda di 30mi1a euro e una pensione lorda maturata di 1.327 euro il costo aziendale è oltre 61mi1a euro nel caso di pensione di vecchiaia e oltre 93mi1a per l'assegno anticipato perché per questo vanno considerati anche i contributi. I calcoli sono stati fatti tenendo conto già del recupero della Naspi.
L'uscita anticipata può rappresentare inoltre anche un riduzione sostanziosa dell'incasso per il lavoratore. Sempre secondo il calcolo della Uil lo stesso lavoratore con 30mi1a euro di retribuzione annua lorda avrebbe uno stipendio netto in cinque anni di 117mila euro oltre a 7.500 euro netti di Tfr mentre uscendo con il contratto di espan sione avrebbe un'entrata complessiva di pensione in cinque anni di 71.500 euro netti. Avrebbe inoltre una pensione nettamente più bassa nel caso non siano versati i contributi. «Bisogna rendere il contratto di espansione meno oneroso, - ha detto il segretario confederale della Cisl Ignazio Ganga. Abbiamo chiesto di nuovo al Governo di aprire il tavolo sulla previdenza per evitare che con la fine di Quota 100 ci sia uno scalone di cinque anni rispetto alla situazione attuale. Mi auguro che il ministro Orlando ci convochi entro maggio». Il contratto di espansione - ha detto il segretario confederale della Uil Domenico Proietti - è uno strumento utile solo parzialmente. Interessa, infatti, solo una porzione delle aziende italiane, ed è particolarmente svantaggioso proprio per i lavoratori con carriere più deboli. Per la Uil - sottolinea - bisogna varare misure che introducano una flessibilità più diffusa di accesso alla pensione a partire dai 62 anni anche tenendo conto della diversa gravosità delle attività dei lavoratori".