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Schiaffo inglese a Mario Draghi sulla cessione di Autostrade a Cassa depositi e prestiti

Filippo Caleri
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È come una nemesi storica. Il governo guidato da Draghi, l'uomo che più di tutti incarna le grandi privatizzazioni delle aziende di Stato degli anni '90, redarguito da un fondo che in una di quelle società ha una partecipazione vicina al 10%. Proprio così. Gli inglesi di Tci, azionista di Atlantia e cioè la holding della famiglia Benetton che detiene 1'88% dei Autostrade per l'Italia, il 12 aprile scorso hanno preso carta e penna e inviato un'intimazione netta e precisa, al limite dello sgarbo istituzionale, direttamente all'esecutivo italiano. Reo, ad avviso dei gestori, di aver esercitato «un'interferenza politica» a favore della Cassa depositi e prestiti che in cordata con altri soggetti finanziari (Macquarie e Blackstone) ha presentato un'offerta per rilevare Aspi considerata non congrua con il valore degli asset.

 

 

Anche il formalismo grafico usato evidenzia una certa veemenza nella critica. Tradotto dall'inglese e ben scritto in grassetto Tci ha messo nero su bianco la richiesta al premier, al ministro dell'Economia, Daniele Franco e a quello dei Trasporti, Enrico Giovannini di evitare pressioni su Atlantia per chiudere la transazione. Insomma la holding di Ponzano Veneto deve essere lasciata libera di avere il «tempo necessario» per valutare l'offerta degli spagnoli di Acs. Ovvero della società di costruzione spagnola guidata da Florentino Perez, noto al grande pubblico per essere il presidente del Real Madrid. Niente interferenze dello Stato dunque. Che ci sarebbero già state però, secondo la società finanziaria, con la lettera del 5 aprile inviata dal ministro Giovannini ad Atlantia, per «chiedere che la società accetti prontamente di vendere 1'88% in Aspi al consorzio formato da Cdp» e chiarire che il Pef (Piano economico finanziario) non può essere approvato senza la valutazione positiva dell'Avvocatura dello Stato che «dipende ampiamente dalla conclusione della transazione con il consorzio di Cdp».

 

 

Un comportamento questo che rappresenta per Tci «una palese violazione del principio di libera circolazione dei capitali». Parole dure contro un campione del disimpegno dello Stato dall'esercizio delle attività produttive come Draghi. Ricordato finora per la salita sul panfilo Britannia di sua Maestà Elisabetta II nel 1992 per smantellare il sistema delle partecipazioni statali fino ad allora attivo in Italia. A ben vedere però l'offerta di Acs per ora è solo una manifestazione di interesse comunicata ad Atlantia con due lettere che non hanno ancora però spiegato la struttura finanziaria dell'operazione. Mentre la due diligence è appena agli inizi. Eppure nella lettera il fondo britannico spinge perché sia considerata l'offerta del gruppo spagnolo Acs, ribadendo che «è significativamente più alta di quella fatta dal consorzio guidato da Cdp» anche se in realtà gli spagnoli di Acs non hanno ancora fissato un prezzo ma indicato una forchetta tra 9 e 10 miliardi. Per adesso sul tavolo di Atlantia l'unica offerta vincolante è quella della Cdp con un prezzo di 9,1 miliardi per Aspi e che valuta in circa 870 milioni le garanzie per i danni indiretti legati al Morandi. Atlantia si attende ancora qualche miglioramento. Ma al momento non ci sono segnali dal governo in tal senso. C'è tempo comunque perché il cda di Atlantia dovrebbe riunirsi entro venerdì.

 

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