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Riforma fiscale alla danese, la ricetta di Mario Draghi: aliquote alte ridotte e progressive

Filippo Caleri
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La strada è tracciata per la riforma del fisco. Attesa in Italia da decenni, forse con il governo Draghi, potrebbe arrivare in porto un cambiamento complessivo del sistema della tassazione. Finora tutti gli interventi attuati hanno avuto poca efficacia - ha spiegato il premier ieri nella sua relazione per ottenere fiducia al Senato. Ecco dunque che la soluzione prospettata è un'esperienza che già ha trovato applicazione in un alto paese europeo: la Danimarca. Che ha attuato un rinnovamento del sistema fiscale partendo da una visione a tutto campo e portata avanti con tempo, competenza, e soprattutto con la condivisione dei risultati tra le parti sociali. Così Copenaghen nel 2008 ha nominato una Commissione di esperti in materia fiscale che ha incontrato politici, sindacati e associazioni datoriali.

«Pur non essendo un esempio virtuoso visto che le aliquote fiscali danesi sono le più alte in Europa, la riforma è riuscita attraverso una forte semplificazione, la riduzione dell'imposta sul reddito e l'innalzamento della soglia di reddito esente da tasse, a tagliare la pressione fiscale di un una percentuale pari a due punti di Pil» spiega a Il Tempo, Angelo Cremonese, professore di scienza delle finanze alla Luiss che sottolinea anche come la riforma sia andata a buon fine «perché il paese nordico è ricco, piccolo e con un'evasione pari a quasi zero, non tanto perché il danese sia più fedele dell'italiano ma perché il livello di semplicità del Dl Raffaello Lupi* sistema è tale che il controllo è facile per l'amministrazione.

Insomma il contribuente sa che se non paga le tasse sarà facilmente identificato» ha spiegato ancora Cremonese. Comunque vada Draghi consapevole che non sarà facile cambiare il sistema tributario perché è un meccanismo complesso, le cui parti si legano una all'altra. Dunque spazio a un intervento comunnque complessivo per rendere la vita più dura a specifici gruppi di pressione che riescono a spingere il governo ad adottare misure scritte per avvantaggiarli quando l'intervento è settoriale.

L'importanza del metodo seguito è un alto elemento distintivo della politica che Draghi applicgerà in campo fiscale. Il premier ha ricordato l'esperienza di riferimento già fatta in Italia. Fu all'inizio degli anni Settanta del secolo scorso. Il governo di allora affidò a una commissione di esperti, fra i quali Bruno Visentini e Cesare Cosciani, il compito di ridi segnare il sistema tributario, che non era stato più modificato dai tempi della riforma Vanoni del 1951. Un lavoro che modificò profondamente l'imposizione sui redditi. Fu quella commissione a introdurre l'imposta sul reddito delle persone fisiche (l'Irpef) stato e della lotteria degli scontrini, in vista della sparizione del contante. Proprio la Danimarca, citata da Draghi e che segue a ruota l'Italia nel primato dell'evasione fiscale europea, dimostra che l'evasione dipende dalle dimensioni delle attività e può esistere anche in una società praticamente cashless.

Sull'evasione c'è del marcio in Danimarca il che conferma l'illusione di trasformare le banche e i gestori di sistemi di pagamento elettronici in altrettanti sostituti d'imposta e del sostituto d'imposta per i redditi da lavoro dipendente. «Ora come allora la riforma fiscale deve segnare un passaggio decisivo nella vita di ogni Paese. Indica priorità, dà certezze, offre opportunità, l'architrave della politica di bilancio» ha spiegato Draghi che comunque i semi del cambiamento li ha già seminati. «In questa prospettiva va studiata una revisione profonda dell'Irpef con il duplice obiettivo di semplificare e razionalizzare la struttura del prelievo, riducendo gradualmente il carico fiscale e preservando la progressività. Funzionale al perseguimento di questi ambiziosi obiettivi sarà anche un rinnovato e rafforzato impegno nell'azione di contrasto all'evasione fiscale».

Nessun specifica sul punto. Ma è chiaro che la digitalizzazione imposta dal Recovery plan sarà di aiuto per ridurre gli spazi ai furbetti del fisco. Un po' per la pandemia, un po' per il cambio degli strumenti di pagamento, lo Stato sta acquisendo una serie di dati di ogni contribuente. Sarà sempre più facile capire dove i meno fedeli nascondono le loro ricchezze. E chissà se arriverà un condono. Chi aderirà, di fatto, si consegnerà al fisco. Che da quel momento avrà un database dei «clienti» me.

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