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Recovery Fund, belle parole e pochi fatti. La fregatura è dietro l'angolo

Angelo De Mattia
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Il Recovery Fund, nella proposta presentata ieri all’Europarlamento da Ursula Von der Leyen e denominata «Next generation» nell’Unione, sarà di 750 miliardi, 500 a fondo perduto e 250 miliardi per prestiti da rimborsare. La proposta della Presidente della Commissione Ue è andata oltre il progetto Merkel-Macron, anche se si articolerebbe in diversi piani, tra gli altri la Recovery and Resilience Facility e il Solvency Instrument.

Si tratta, indubbiamente, di una importante innovazione. I giudizi sono empatici e sottolineano con arditezza il carattere storico dell’iniziativa. Questa, tuttavia, deve essere valutata non solo per lo sforzo progettuale compiuto, ma anche , e ora soprattutto, per gli oneri connessi con il reperimento delle risorse e per le condizionalità delle erogazioni.

Quanto al primo punto, le obbligazioni che sarebbero emesse dalla Commissione per finanziare il Fondo sarebbero garantite dal bilancio europeo 2021-27 e rimborsate con alcuni introiti, in particolare, della «Plastic tax», del contrasto dell’elusione fiscale dei colossi del web, del sistema di pagamento delle quote per l’inquinamento. Si tratterebbe di nuove forme di entrata, ma resta la necessità di chiarire se gli apporti al bilancio dell’Unione, da parte dei singoli Stati, aumenteranno o no, nonché se, ai fini dei rimborsi, vi saranno anche oneri gravanti sul bilancio dei singoli Paesi. Un tale chiarimento è importante per valutare il «dare» e «l’avere» di ciascun partner comunitario.

Quanto alle condizionalità, i Paesi interessati dovranno sottoporre a Bruxelles un programma nel quale saranno indicate le modalità di spendita dei fondi, assegnando la priorità ai settori più colpiti dalla crisi, nonché al green e al digitale. Un aspetto particolare riguarda le riforme che, contestualmente, ci si dovrebbe impegnare ad attuare.

Queste dovrebbero essere inquadrabili nelle «Raccomandazioni-Paese» che Bruxelles impartisce ogni anno in primavera. Ci si affanna a ripetere che non si tratterà di condizionalità «alla greca». Tuttavia, questo aspetto, insieme con i criteri che regolano l’attività del Fondo, gli oneri dei prestiti e la governance dovranno essere valutati accuratamente . L’Italia potrebbe arrivare a ottenere risorse per 173 miliardi circa, di cui 81 come sovvenzioni. In questo quadro l’onere dei prestiti diventa molto importante.

Non certo per ultimo, bisognerà farei conti con i Paesi autonominatisi frugali – Olanda, Svezia, Danimarca, Austria – ma in effetti dimostratisi finora, come qualcuno ha detto, spilorci, dal momento che l’iniziativa avrà bisogno dell’unanimità degli aderenti all’Unione.

Qualcuno di questi Paesi appare disponibile a una trattativa. Per il 18 giugno è previsto il summit dei Capi di Stato e di Governo che dovrebbe discutere e decidere definitivamente sul Fondo. Ma intanto occorrerà che siano superate le opposizioni dei «frugali» alle sovvenzioni, richiedendo essi che gli interventi siano composti solo da prestiti onerosi da concedere, sulla base di precise riforme da introdurre da parte dei Paesi richiedenti. Non sarà facile trovare un’intesa.

Ora, però, essendo in campo direttamente la Commissione, se non si dovesse arrivare a una convergenza o si dovesse pervenire a un’intesa al ribasso spostata sulle posizioni dei Paesi frugali, il colpo per l’Unione, a questo punto, sarebbe forte e, in Italia, riprenderebbero vigore le spinte perché si tagli ogni indugio e si ricorra al Mes con tutti i problemi che pure questa adesione comporta. Naturalmente, occorrerà evitare, a un certo punto, di fare la fine dell’asino di Buridano, incapace di scegliere tra paglia e fieno.

Nell’intervento che ieri il Presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, ha scritto per il "Corriere della Sera" e per "il Fatto quotidiano, nel quale illustra l’italiano «Recovery Plan» (non poteva mancare l’inglese), c’è tutto: dalla rivoluzione culturale nella pubblica amministrazione alla riforma fiscale; dagli investimenti pubblici e privati, alle infrastrutture, alla capitalizzazione delle imprese, alla revisione dell’abuso d’ufficio; dalla transizione energetica alle tecnologie digitali; dal diritto societario al codice civile.

Occorre vedere, ora, come da questa mera elencazione, una sorta di agenda priva di un chiaro filo conduttore, si passi alla concretezza delle iniziative a cominciare dai prossimi mesi. Conte ritiene che il Recovery Fund sia un buon punto di partenza. La soddisfazione nella maggioranza per la proposta della Presidente della Commissione appare evidente.

Ciò, però, aldilà dei chiarimenti e dei «caveat» indicati, accresce ancor più le responsabilità dell’Esecutivo nel campo della politica economica.

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