EMERGENZA CORONAVIRUS
Lo schiaffo ai lavoratori: pagata solo una cassa integrazione su cinque
In Italia la linea che congiunge due punti è l’arabesco, diceva Flaiano. Ed è lo specchio di questi mesi di ritardi. Dove un tessuto economico devastato dal Covid, travolto dal lockdown, deve fare i conti con la lentezza degli strumenti di reazione. Un esempio è la cassa integrazione in deroga. Si tratta di una misura assai complessa, perché la domanda passa per le Regioni, previo accordo quadro tra sindacati e datori di lavoro. Dopodiché, la Regione trasmette all’Inps per l’erogazione dei soldi. Dunque, la situazione, a ieri, era la seguente, così come illustrato dall’istituto previdenziale: le domande inviate dalle singole Regioni all’ente, per il pagamento sono 277.598. Di queste, 163.974 sono state autorizzate dall’Inps, e 46.137 sono state pagate ad un ammontare di 97.017 lavoratori. Meno di uno su cinque, dunque. Dati alquanto dolorosi, che sono entrati nel confronto pubblico, anche tra gli enti coinvolti. È il caso, ad esempio, del Lazio dove l’assessore regionale al Lavoro Claudio Di Berardino in una nota ha lanciato una sorta di appello all’Inps: «Sono circa 60 mila – scrive - le domande di cassa integrazione in deroga che come Regione Lazio abbiamo decretato e inviato all’Inps per la liquidazione. Quello compiuto dai nostri uffici è stato un lavoro costante e quotidiano che dal 25 marzo scorso non si è mai arrestato, neanche durante i giorni di festa. Ci auguriamo, ora, che l’Inps possa velocemente aggiornare i propri elenchi». E aggiunge: «Chiediamo all’Inps di aggiornare il proprio sistema informatico affinché possa leggere e prendere in carico tutte le altre migliaia di domande decretate che il Lazio ha inviato da giorni all’Inps». Tradotto in cifre: «Risultano caricate a sistema Inps solamente 35.903 domande pari a nostre 169 determine dirigenziali; quelle correttamente inviate dal Lazio sono 60 mila domande contenute in 266 determine autorizzate dalla Regione». E il tema ha suscitato uno scossone politico in Sicilia, una Regione che vede un significativo ritardo nei pagamenti. Un pool di imprese e associazioni hanno rivolto un appello al governatore Nello Musumeci, e ai presidenti delle Commissioni Antimafia della Sicilia e del Parlamento nazionale. Il messaggio, in sostanza, è questo: abbiamo scelto di rimanere nell’Isola con le nostre attività, l’inefficienza della macchina pubblica non ci costringa alla fame. La vicenda Sicilia è abbastanza complessa, e si innesta in una complicata trattativa tra il dirigente generale dell’assessore al Lavoro Giovanni Vindigni e i sindacati del pubblico impiego. Tra i vari punti sul tavolo, pare ci sarebbe stato un bonus di 10 euro per ogni pratica smaltita, che ha suscitato aspre polemiche. Ieri, tuttavia Vindigni si è dimesso e il Presidente della Regione, Nello Musumeci, ha avviato un’indagine interna su tutta la vicenda e oggi terrà una conferenza stampa assieme all’assessore competente, Scavone, cui il Movimento 5 Stelle ha chiesto le dimissioni presentando all’Ars una mozione di censura. Riguardo all’impasse, anche il ministro della Pubblica amministrazione Fabiana Dadone ha avviato un’ispezione. Al di là del caso specifico siciliano, il tema di un’eccessiva farraginosità dell’ingranaggio è universalmente percepito. Ecco cosa dice Marco Marsilio, governatore dell’Abruzzo: «Tutte le Regioni, e dico tutte, hanno chiesto di studiare una diversa procedura, data l’eccezionalità dell’evento e dei numeri. Basti pensare che in tempo di pace, occorrono due o tre mesi per allestire le pratiche, e non stiamo parlando certo della quantità di domande pervenute nelle ultime settimane nei nostri uffici. Il Governo non ha voluto ascoltare le Regioni, scaricando su di loro la rabbia sociale dei lavoratori». Purtroppo un altro punto di conflittualità, par di capire, tra livello regionale e livello centrale.