"Ho l'acciaieria chiusa e in Europa si fregano le mani"
Parla Massimiliano Burelli, amministratore delegato dell'azienda Acciai Speciali Terni
«La cosa preoccupante che noi vediamo oggi è che i nostri concorrenti europei dell'acciaio stanno lavorando appieno. Il nostro concorrente finlandese, che è una azienda partecipata dallo Stato finlandese ed è stata considerata strategica quindi obbligata a lavorare, prosegue la produzione. E anche il nostro concorrente belga Aperam sta lavorando». A parlare in questa intervista è Massimiliano Burelli, amministratore delegato dell'azienda Acciai Speciali Terni, un'impresa che sta facendo i conti con la serrata industriale del nostro Paese, una chiusura voluta dal Governo Conte, causa emergenza da coronavirus. Burelli, avete spento tutto? «Sì». Anche i forni dell'acciaieria? «Sì, noi abbiamo dei forni elettrici che non sono come quelli dell'Ilva, si possono riaccendere girando la chiave, come una autovettura». Siete preoccupati? «Adesso bisognerà capire cosa succederà il 4 aprile, se ci sarà data la possibilità di ripartire o meno perché in quel caso dovrò capire se i clienti sono aperti e se le filiere essenziali hanno la necessità di materiale o meno. Noi siamo fermi del tutto, per decreto. Dovevamo fermare tutto martedì mattina della scorsa settimana ma io ho mandato una comunicazione al Prefetto spiegandogli che in quanto fornitore di filiere essenziali avrei lavorato, con il materiale che avevo disponibile a terra davanti alle macchine, fino a venerdì. Quindi da sabato ho l'azienda ferma». Cosa fate a Terni? «Siamo l'unico produttore italiano di acciaio inossidabile laminato e quindi siamo annoverati tra le aziende strategiche. All'interno del nostro essere strategici abbiamo anche una produzione per le filiere essenziali e di tipo medicale. Infatti proprio per questo ho fatto lavorare le macchine a valle fino a venerdì, nonostante il lockdown imposto martedì dal decreto ed a cui ho portato l'azienda, l'ho fatto per poter alimentare questa filiera medicale essenziale». Quanti dipendenti avete? «2350 dipendenti a libro matricola, un centinaio di interinali e poi altri 600 terzisti che lavorano su base continuativa». Quanto potrete resistere restando chiusi? «In realtà questa è una bella domanda. Se fosse stato seguito un lockdown contemporaneo in tutta Europa non si sarebbe creata la situazione in cui noi siamo fermi e i nostri concorrenti lavorano. Purtroppo ognuno ha fatto a modo suo, per nazione, ed è chiaro che stare fermi 2 settimane ci crea problemi. Considerando poi che ci siamo fermati anche prima, abbiamo avuto degli scioperi e ci siam fermati per adeguare. La parte a caldo ha lavorato soltanto pochi giorni nel mese di marzo e se iniziamo a perdere clienti a favore dei concorrenti che lavorano diventa una situazione complicata». Non potreste tornare a produrre solo per il medicale? Lo avete chiesto al Governo? «Si tratta di una valutazione che stiamo facendo coi miei colleghi commerciali: capire le situazioni del medicale e delle altre filiere essenziali, qualora venisse procrastinata ulteriormente la serrata. Valutare se è il caso di chiedere una deroga prefettizia per ripartire a produrre almeno con la parte delle filiere essenziali». Lo Stato non vi ha chiesto di tenere aperta la produzione che può servire alla filiera medicale? «Lo Stato non ci ha chiesto di fare una produzione di emergenza perché lei deve considerare che i volumi che vanno nel medicale sono molto bassi. Le faccio un esempio: con 25 tonnellate di acciaio di letti ospedalieri se ne producono tanti. Una filiera molto specializzata ma che consuma bassi volumi». Cosa chiede a Conte ed al Governo? «Bisogna trovare il modo di non mettere in difficoltà le aziende con la serrata. C'è ad esempio l'approccio israeliano, visto che il virus sopra i 60 anni ha una letalità importante ma sotto i 50 no, magari pensare ad un modello di lavoro legato all'età. Chi ha più di 60 anni sta a casa in cassa integrazione, chi ha meno di 50 va a lavoro e tra i 50 ed i 60 anni svolgono un certo tipo di mansioni. Altrimenti, per noi, che abbiamo un mercato europeo con i concorrenti che producono, si potrebbe far ripartire una parte delle aziende più esposte alla concorrenza». La cosa più importante adesso? «Sapere quando si potrà ripartire. Le indiscrezioni dicono che ci sarà una altra serrata fino a dopo Pasqua. Ma io per riavviare ho bisogno di tempi certi, per ripartire. Quindi che si riparta o no, prima si sa meglio è, così si valutano le condizioni, se chiedere delle deroghe oppure no. E si può studiare il da farsi». In azienda le condizioni di lavoro sono adeguate alle misure di sicurezza di questa epoca da coronavirus? «Riteniamo di essere in grado di garantire i nostri lavoratori e il rispetto di tutte le norme di sicurezza».