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Stop all'indicizzazione, cosa succede alle pensioni: ecco perché sono sempre meno ricche

Filippo Caleri
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Pensione col freno a mano per i cittadini che hanno lasciato il lavoro. Dal 2011 a oggi l'indicizzazione delle pensioni è stata bloccata da una serie di interventi che ne hanno depotenziato l'efficacia.  O meglio ridotto di fatto  il potere d'acquisto. A calcolare la perdita è stata la Uil che ha considerato tutti i blocchi operati in 9 anni ed evidenziato che una pensione pari a 1.500 euro lordi mensili nel 2011, ha cumulato una perdita complessiva pari a 74,03 euro al mese, 962,39 euro annui.  E non è finita. Perché la differenza sarà destinata a crescere per effetto dei blocchi previsti fino al 2021. Peggio inoltre è andata a chi prende un assegno pari a 1.900 euro lordi mensili nel 2011 (importo tra le 4 e le 5 volte il minimo), ha subìto nel corso di questi 9 anni un mancato incremento pari a circa 1.378,83 euro lordi annui. In pratica è come se quest'anno il pensionato percepisse una mensilità netta in meno. Essendo l'effetto dei blocchi permanente, la Uil sottolinea che se non saranno varati meccanismi di recupero del potere di acquisto perso, tale penalizzazione si trascinerà anche sull'importo della pensione per i prossimi anni. «Il blocco dell'indicizzazione delle pensioni dal 2011 a oggi ha generato danni gravissimi e permanenti a milioni di pensionati» ha dichiarato Domenico Proietti, segretario confederale della Uil. Risultato: dopo una vita di lavoro e un assegno commisurato il rischio dietro l'angolo è un impoverimento. Lento ma inesorabile a meno di cambi di rotta del governo.

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