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Giulia e Nicola, storia incredibile: sposi beffati dal fisco matto

Giulia e Nicola ricevono 9mila euro in contanti di regali. Non li versano il giorno dopo e per l'erario è evasione

Filippo Caleri
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Il fisco non crede nel matrimonio. O meglio al fatto che i regali in denaro e assegni che due sposini, Nicola e Giulia, ricevono per il sì della vita, siano tali. Per i segugi dell'erario, invece, tutto quel cash e gli assegni non sono altro che una sorta di rete per occultare redditi. Sembra una barzelletta. Ma c'è poco da ridere. È tutto vero, raccontato dalla trasmissione «L'Aria che tira» su La 7. Un servizio di 2 minuti e mezzo che dimostra l'assurdità di un Paese che consente alle multinazionali di fare profitti in Italia e di tassarli in Olanda, alle web company con miliardi di fatturato di pagare qualche spicciolo all'erario italiano ma che, per rincorrere le briciole rimaste, arriva a mettere in dubbio anche la celebrazione del sacramento. «Un incubo» spiega Giulia, la sposa, nel breve filmato che rende subito chiaro la sconfitta dello Stato di diritto (tributario). «L'assistente tributarista ci ha detto che non avevamo strumenti per dimostrare quello che affermiamo. E l'onere della prova spetta a noi». In sintesi: se il fisco accusa un contribuente di aver nascosto imponibile è lo stesso a dover portare la prova di essere stato onesto. E se non la fornisce è colpevole. E Giulia e Nicola, marito e moglie da 5 anni, per il fisco sono una coppia di evasori abili. Sì, il 25 ottobre del 2014, si sposano e, invece di ottenere argenteria e servizi di piatti, ricevono 9 mila euro sotto forma di denaro sonante. Buste piene di cash frusciante per affrontare una vita insieme in aree del Paese dove il lavoro stabile non è facile da trovare, e i regali in banconote sono una piccola dote che consente di guardare al futuro immediato con una minore ansia. Che arriva però con la formula dell'accertamento da parte dell'erario. Quelle buste (benedette) vanno sotto inchiesta. Questo, perché Giulia parte per una borsa di studio e deposita i soldi un mese dopo il sì. Nicola più tempestivo, dopo aver superato lo stress della preparazione delle nozze, si ricorda di andare in banca 15 giorni dopo. Un tempo troppo lungo per i superispettori che presumono che il tesoretto sia il frutto di una piccola evasione. Questo perché per chi riscuote le tasse i soldi debbono essere depositati il giorno dopo il matrimonio. Solo così è evidente il legame con le nozze. Così non è. E per la coppia inizia una sequela di incontri con i burocrati conditi da domande e richieste. Che alla fine affondano il colpo: c'è il sospetto che amici e parenti abbiano staccato gli assegni per celare guadagni non dichiarati da parte degli sposini. Insomma una specie di rete mafiosa, sostenuta da nonno Raffaello, nonno Silvio e dagli amici di Padova, li ha aiutati a nascondere soldi. I sospetti sono quasi certezza su Nicola che in quegli anni è un libero professionista con partita Iva, ma perseguita anche Giulia presupponendo che abbia nel suo portafoglio quote azionarie. La chicca è che tra i movimenti contestati c'è perfino un rimborso dell'Enel. Il paradosso è che il fisco arriva addirittura a dubitare che il matrimonio si stato celebrato, nonostante la presentazione del biglietto di auguri, delle partecipazioni e della data incisa sulla fede. Che per il fisco non fa fede. E la beffa non può mancare. «Non siamo stati in grado di fornire prove sufficienti. Ed è arrivata la sanzione di 4 mila euro. Come se fossimo evasori» spiega Giulia che sorride: «La prossima volta solo argenteria. Molto meglio». Chi si sposa oggi ora è avvisato. Una storia incredibile sulla quale è intervenuta anche Giorgia Meloni, leader di FdI con un post su Facebook: «La repressione fiscale verso gli italiani sta raggiungendo vette finora rimaste inesplorate. Ascoltate la surreale storia di Nicola e Giulia: considerati dal fisco una coppia di abili evasori a causa dei regali che hanno ricevuto nel giorno del loro matrimonio. Un altro episodio, l'ennesimo, di uno Stato maniaco che si dimostra debole con i forti, ma forte con i deboli. Basta!».

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