Banca Popolare di Bari, sul salvataggio occhio al faro della Ue
La scelta di non menzionare la Banca Popolare di Bari nel decreto per salvarla serve a non irritare l'Europa
Negli anni novanta del secolo scorso ci si illuse da parte dell'Iri sulla possibilità di realizzare la Mediobanca del sud, liquidata poi nella culla, prima di muovere i primi passi. Nel secondo Governo Berlusconi si istituì addirittura con legge la Banca del Mezzogiorno che intendeva, pure essa, mimare la Mediobanca milanese, ma che per operare concretamente ebbe bisogno della licenza bancaria del Mediocredito centrale. Oggi la sua denominazione si unisce a quest'ultima sotto la proprietà di Invitalia. Era concepita, la Banca del Mezzogiorno, come ente di secondo grado, ma riuscì a svolgere una parte della sua attività solo rivedendo sostanzialmente il proprio disegno istituzionale originario. Si potrebbe dire «De te fabula narratur» riferendoci al decreto legge adottato dal Governo per il caso della Popolare di Bari che esordisce con l'intento di istituire per il sud una «banca pubblica di investimento». Non menziona espressamente la Popolare in questione e ciò si spiega con il giusto intento di evitare che la Commissione Ue sollevi il problema della violazione del divieto di aiuti di Stato. Ma è chiaro che la «Bari» sarà l'esclusiva o la principale destinataria del previsto sostegno per 900 milioni da parte del Tesoro, sostegno che defluirà all'istituto attraverso Invitalia e Mediocredito. Ma quando l'operazione si concreterà sarà inevitabile constatare tale deflusso. Per approfondire leggi anche: SPUNTA LA MEGA-BANCA PUBBLICA Allora non sarà escluso un intervento tendenzialmente interdittivo della Commissione che ha una memoria debole e non ricorda la ricapitalizzazione con risorse pubbliche della tedesca NordLb che essa ha di fatto autorizzato. Accanto alla rigorosa individuazione e sanzione delle responsabilità della grave vicenda della Popolare, va, da un lato, osservato che la «nazionalizzazione» - che alcuni vorrebbero – della banca, per di più da trasformare, fa venire in mente gli istituti di credito meridionali che dipendevano annualmente dallo Stato per il rifinanziamento del fondo di dotazione spesso realizzato con la legge finanziaria, essendo dunque banche dipendenti dalle decisioni dei Governi; dall'altro, combinata con il modello della «banca di investimento», mira a un solo settore dell'economia meridionale, quando, invece, in quell'area c'è bisogno di una specializzazione, sì, nel sostegno agli investimenti, ma anche e prima ancora di credito ordinario, di sostegno alle famiglie e alle imprese non solo, in quest'ultimo caso, per il medio e lungo termine, di forme nuove di esercizio dell'attività bancaria e di protezione dei risparmi anche con l'impiego delle nuove tecnologie. Queste specializzazioni funzionali possono coesistere in una grande banca oppure essere il risultato di scissioni societarie, ma mantenendo integro il disegno complessivo ed evitando facili slogan, quale potrebbe risultare quello della «banca di investimento», immemori dell'esperienza testé richiamata della Mediobanca del sud. Quanto alla nazionalizzazione, il « mix» più appropriato da conseguire dovrebbe essere quello – diverso - di un equilibrato rapporto tra ammontare della partecipazione pubblica e ammontare di quella, auspicabile, del Fondo interbancario di tutela dei depositi, con la prima che progressivamente si riduce. Il tutto da inquadrare in un contesto che comprenda anche l'irrobustimento del complessivo tessuto bancario meridionale anche utilizzando la norma di legge che consente, a determinate condizioni, la trasformazione di attività fiscali differite in crediti di imposta. Insomma, si tratta di non aggiungere errori ad errori o, peggio ancora, di evitare che prenda piede una strategia di immagine e di propaganda politica nel Mezzogiorno con formule altisonanti, tuttavia prive di respiro. Non si dimentichi che la Popolare di Bari ha oltre 70 mila soci, circa 4 mila dipendenti, una vasta area economica di riferimento. La pesante esperienza vissuta dovrebbe essere di sprone a un riscatto e a un rilancio, mentre paga chi ha sbagliato sempreché ciò sia puntualmente riscontrato dagli organi e dalle sedi competenti, non certo a tradurre in leggi punti di programma di questo o quel partito – la famosa banca pubblica di investimento originariamente proposta dai «5 Stelle» - piantando così una bandierina che verrà rimossa al primo stormir di fronde, cioè in sede applicativa.