mazzata su pil e occupazione
Pacco d'acciaio, Pd e Cinque stelle fanno scappare l'Ilva
Un addio fragoroso, che spiazza lavoratori e sindacati, scatenando l’ira del governo, che già oggi ha convocato l’azienda. Per la vicenda dell’Ilva la svolta clamorosa arriva all’ora di pranzo: Arcelor Mittal, il gruppo anglo-indiano che ha affittato per acquisirle nel 2021, le acciaierie di Taranto, Novi Ligure e Cornigliano, ha inviato ai commissari straordinari la comunicazione di recesso dell’accordo. Insomma un passo indietro a 360 gradi rispetto all’intesa firmata appena un anno fa e che lascia poco spazio a interpretazioni: Mittal restituisce le acciaierie ex Riva allo Stato. Nello specifico si chiede ai commissari «di assumersi la responsabilità per le operazioni e i dipendenti entro 30 giorni dalla loro ricezione della predetta comunicazione di recesso o risoluzione». Il motivo scatenante è ufficialmente uno: l’eliminazione dello scudo penale deciso dal dl Imprese e sostenuto dal M5S. Secondo Mittal, infatti, il contratto prevede che, «nel caso in cui un nuovo provvedimento legislativo incida sul piano ambientale dello stabilimento di Taranto in misura tale da rendere impossibile la sua gestione o l’attuazione del piano industriale, la società abbia il diritto contrattuale di recedere dallo stesso contratto». Il governo, dal canto suo, reagisce immediatamente, convocando prima una riunione di emergenza al Mise e poi un war cabinet a Palazzo Chigi, alla presenza del premier Giuseppe Conte. Inoltre già oggi pomeriggio i vertici dell’azienda sono stati convocati dai giallorossi. «Il governo non consentirà la chiusura dello stabilimento di Taranto ex Ilva, garantirà la continuità produttiva - spiega da via Veneto Stefano Patuanelli in serata - Non esiste un diritto di recesso come strumentalmente Mittal ha scritto oggi. Scudo legale? Una foglia di fico, è un alibi». E ai sindacati Conte rilancia: «Non c’è alcun motivo che possa giustificare questo recesso». Nella nota Mittal cita anche i «provvedimenti emessi dal Tribunale penale di Taranto che obbligano i commissari straordinari di Ilva a completare talune prescrizioni entro il 13 dicembre 2019 pena lo spegnimento dell’altoforno numero 2». Con la crisi globale dell’acciaio in corso, spegnere l’altoforno 2 renderebbe di fatto impossibile per la società «attuare il suo piano industriale». Di fatto, sono in ballo 10.700 posti di lavoro, senza contare che una volta spento sarebbe quasi impossibile riaccendere l’altoforno per produrre la ghisa. Ovviamente i sindacati insorgono, con il leader della Fim Cisl Marco Bentivogli che attacca tutte le parti in causa: «Da oggi partono i 25 giorni per cui lavoratori e impianti ex Ilva torneranno all’Amministrazione Straordinaria. Tra le motivazioni principali, il pasticcio del Salva imprese sullo scudo penale. Un capolavoro di incompetenza e pavidità politica: non disinnescare bomba ambientale e unire bomba sociale». «Ora si apre una fase drammatica dall’esito incerto con il forte rischio di bloccare il risanamento ambientale causando una bomba ecologica, oltre alla perdita di 20mila posti di lavoro», gli fa eco Rocco Palombella, segretario generale Uilm. In serata trapela anche la mail che l’ad di Arcelor Mittal Italia Lucia Morselli ha inviato ai dipendenti. Il primo punto è sempre lo stesso, ovvero che «non è possibile gestire lo stabilimento senza le protezioni, e non è possibile esporre dipendenti e collaboratori a potenziali azioni penali». Per questo motivo sarà «necessario attuare un piano di ordinata sospensione di tutte le attività produttive a cominciare dall’area a caldo dello stabilimento di Taranto». Nel contratto siglato al Mise il 6 settembre 2018 Mittal si è impegnata a fare investimenti ambientali per 1,1 miliardi e industriali per 1,2 miliardi. A Taranto attualmente sono in cassa integrazione ordinaria per 13 settimane, dal 30 settembre, 1276 dipendenti per crisi di mercato. L’azienda perde 2 milioni al giorno secondo fonti sindacali: la situazione dell’acciaio preoccupava Mittal, ma l’addio allo scudo sembra aver dato la spinta decisiva per la rottura più terribile per Puglia e (forse) governo. La bomba sociale dell’Ilva investe la politica e la maggioranza sempre più in crisi di consensi (il 26 gennaio si vota i Emilia Romagna). «La decisione di Mittal di disimpegnarsi da Taranto è inaccettabile», tuona Matteo Renzi, che chiede al governo di «togliere subito alla proprietà ogni alibi eliminando gli autogol come quello sulla immunità» e «sul quale avevamo messo in guardia il ministro Patuanelli». Il ministro dello Sviluppo economico che firmò l’accordo con Arcelor Mittal, Carlo Calenda, attacca: «Vorrei solo dire a chi ha votato contro lo scudo penale Ilva - Pd, M5S, Italia viva - siete degli irresponsabili. Avete distrutto il lavoro di anni e mandato via dal Sud un investitore da 4,2 miliardi, per i vostri giochini politici da 4 soldi». Picchia duro anche Matteo Salvini, spiegando che l’emendamento soppressivo dello scudo penale «è a firma M5S, votato da Pd e LeU», dunque «chi ha fatto questo dovrebbe avere il coraggio di andare a Taranto a spiegarlo». Al segretario della Lega, però, replica a muso duro il capogruppo dem al Senato, Andrea Marcucci: «A forza di comizi, perde la memoria. È stato il suo governo a togliere lo scudo penale». Il vicepresidente di Forza Italia e presidente della commissione Affari costituzionali del Parlamento europeo, Antonio Tajani, promette di portare il caso in Europa. Mentre il presidente di Fratelli d’Italia, Giorgia Meloni, attacca il premier: «Il Piano per il Sud annunciato da Conte? Ora è chiaro: far chiudere aziende strategiche come l’ex Ilva di Taranto e tenere disoccupati i disoccupati con il metadone del reddito di cittadinanza». Fa discutere, infine, la proposta avanzata dal senatore M5S, Gianluigi Paragone, di nazionalizzare l’azienda.