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Giganti della Rete troppo furbi. Arriva la web tax (forse)

Valerio Maccari
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Tempi duri per i giganti del web, soprattutto sul fronte delle tasse. Anche il G7 dei ministri delle finanze, infatti, si è unito al coro di voci che chiedono la webtax, l'imposta sui servizi online che dovrebbe mettere fine alle asimmetrie fiscali che permettono ai giganti della tecnologia di pagare le tasse nei Paesi dove più conviene loro. Una questione che, con l'esplosione dell'economia digitale e lo spostamento dei consumi verso la Rete, sta diventando sempre più centrale, soprattutto per i Paesi europei, che si sono visti privare di un crescente gettito fiscale. Un problema soprattutto per l'Italia, viste le nostre note difficoltà di bilancio. Si pensi che Facebook, su 180 milioni di ricavi 2015 stimati in Italia, ha versato nelle casse dell'erario solo 203mila euro. La filiale italiana del colosso dell'home sharing, Airbnb Italy Srl, nell'ultimo bilancio depositato (2015) ha dichiarato imposte per appena 45.775 euro. Come un dirigente, insomma. Non a caso, negli ultimi due anni, il fisco nostrano ha intensificato gli sforzi per fare pagare il giusto ai giganti del web. Con qualche successo: le indagini della procura di Milano e l'azione dell'Agenzia delle entrate hanno portato già ad incassare 318 milioni, nel 2014, da Apple e, quest'anno, altri 308 milioni da Google. Secondo la magistratura i colossi hi-tech avrebbero infatti creato uno schema elusivo, che coinvolge una serie di società dislocate tra Irlanda, Paesi Bassi e Bermuda (nel caso di Google), ma anche in altri paradisi fiscali. Attraverso un complesso sistema di fatturazioni, in pratica, centinaia di milioni di euro ricavati in Italia verrebbero contabilizzati in paesi più tax-friendly. Una norma transitoria sulla web tax è entrata – attraverso l'emendamento Boccia – anche nella manovrina  di primavera. “Un passo importante – ha commentato il direttore dell'Agenzia delle Entrare, Rossella Orlandi – perché è la strada per iniziare.. Noi abbiamo ragionato su una sorta di procedimento, vediamo adesso cosa farà il Parlamento, se apporterà delle modifiche. Quello della web tax è un tema ampio e con tante sfaccettature. C'è un problema internazionale, un problema fra gli Stati” Vista la natura del fenomeno, infatti, per arrivare ad una soluzione definitiva gli sforzi dei singoli Paesi non bastano, e c'è bisogno di una regolamentazione internazionale. L'intervento del G7, da questo punto di vista, rappresenta il primo tentativo di arrivare ad un accordo a livello globale.  I ministri delle finanze delle sette maggiori economie del mondo, infatti, hanno chiesto all'Ocse – su spinta italiana - di elaborare proposte concrete, "policy options", sulla tassazione dell'economia digitale, nel rapporto che la task force deve presentare a marzo. Il "passo avanti" sulle ipotesi di tassazione dell'economia digitale auspicato dall'Italia sarebbe dunque a portata di mano. Certo, alcune distanze rimangono e la partita sulla traduzione 'pratica' di questo impegno politico sarà tutta da giocare. L'obiettivo è di stimolare la discussione per arrivare a compiere passi avanti concreti in merito alle possibili forme di tassazione dell'economia digitale. Ogni Paese ha una sua posizione sul tema e una delle proposte italiane sul tavolo, come spiegano alla stampa le fonti della delegazione italiana, è di misurare il consumo digitale traducendo i dati del traffico digitale in parametri di accertamento del reddito. In sostanza, si tratta di istituire dei ‘contatori digitali' per raccogliere informazioni relative al numero, alla posizione geografica e ai consumi degli utenti, in modo da determinare i ricavi dei grandi operatori del web in ogni singolo Paese. L'unica direzione percorribile – spiega la delegazione italiana – in un mondo in cui le basi imponibili sono sempre più immateriali.

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