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Alitalia: il referendum boccia l'accordo

A fronte delle immancabili «lacrime e sangue» nel capitolo «rilancio» solo promesse evanescenti. I dipendenti dell'azienda con in testa i piloti dicono «No» alla proposta di intesa

Filippo Caleri
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Anche le formiche nel loro piccolo si arrabbiano (Gino e Michele nel loro libro usavano una parola più pesante). Ma tanto basta a spiegare quanto avvenuto ieri nelle urne del referendum per salvare Alitalia.  Il avoratori hanno detto, anzi a giudicare dai risultati hanno urlato un poderoso: «No» all' intesa. Ponendo un problema forse inaspettato alla compagnia, che oggi a meno di un coniglio tirato su dal cilindro di Palazzo Chigi lascerà a terra buona parte degli aerei, ma anche allo stesso sistema delle relazioni industriali italiane. Che per lungo tempo è stato a trazione unilaterale. E cioè con le imprese che usando l' arma del ricatto occupazionale hanno compresso i salari verso il basso. Un meccanismo oliato, sempre funzionante, nel quale ieri è entrato un piccolo granello di sabbia. Già, per una volta qualcuno, in particolare i piloti che nella loro formazione hanno anche competenze di strategia militare, hanno tracciato la rotta ipotetica che avrebbe percorso la compagnia con l' assenso al preaccordo siglato dai sindacati con il governo e l' azienda. Dai loro calcoli è uscita un' unica parola: «stallo». Difficile evitarlo senza un piano industriale certificato che mettesse nero su bianco su quale base il nuovo management intendesse far decollare per l' ennesima volta il vettore tricolore. Il preaccordo in altre parole mancava di un elemento fondamentale: a fronte dei sacrifici richiesti (gli ennesimi) quale fosse la soluzione per ripartire. Quella parte del foglio è rimasta bianca, o al massimo riempita di promesse, di parole  SE VUOI CONTINUARE A LEGGERE CLICCA QUI

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