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Dirigenti, la Madia fa marcia indietro

Dirigenti pubblici

Filippo Caleri
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Sulla riforma della dirigenza pubblica, il ministro Marianna Madia, apre alle modifiche del testo contestato dai mandarini di Stato. Ieri una delegazione del Comitato per la difesa degli articoli 97 e 98 nato per protestare contro un provvedimento che, a loro avviso, lede il diritto soggettivo all'incarico vinto attraverso un concorso pubblico, è stata ricevuta a Palazzo Vidoni, dalla Madia e dal suo staff composto dal capo di gabinetto, dal capo della segreteria e da quello dell'ufficio legislativo. Il colloquio, che è servito ai dirigenti per esporre le loro motivazioni, si è concluso con un'apertura da parte della ministra. Che ha promesso di considerare la modifica di alcune parti del decreto che attualmente è all'esame delle commissioni parlamentari per gli affari costituzionali. Insomma il muro contro muro che era stato finora l'unico leit motiv del dossier, da ieri, sembra essersi ammorbidito. Lo staff ministeriale si è impegnato a valutare le correzioni che il comitato dovrà proporre entro la fine di ottobre. Tra i punti che potrebbero subire una riscrittura la responsabile del dicastero di Corso Vittorio ha dato il suo via libera a una disciplina transitoria per i dirigenti con maggiore anzianità in un incarico. Sarebbe prevista per loro una tutela del posto fino all'esaurimento. Insomma niente perdita improvvisa della poltrona per i più anziani che rimarrebbe assicurata fino all'uscita per il pensionamento. Insieme a questo verrebbe applicato un più complessivo regime di gradualità per l'avvio della nuova disciplina. Nessuna partenza sprint, dunque, che rischierebbe solo di creare caos e inevitabile contenzioso in un momento nel quale la macchina dello Stato deve essere a pieno regime per portare a compimento gli investimenti pubblici che il governo ha deciso di avviare, ad agosto scorso, attingendo al Fondo di coesione. Non solo. I dirigenti ricevuti hanno strappato anche la promessa di una forma di riconoscimento del diritto all'incarico attraverso la creazione di un meccanismo per programmare e gestire le scadenze degli stessi e che, secondo le nuove regole, durerebbero al massimo quattro anni. Sarebbe prevista una tutela per far sì che, alla fine del mandato, i mandarini non restino in un limbo normativo e contrattuale in attesa del nuovo incarico. Un diniego da parte della Madia sarebbe stato espresso invece sul punto del riconoscimento di una separazione tra i ruoli dello Stato, delle regioni e degli enti locali. Il timore dei dirigenti è quello che il ruolo unico consenta a un funzionario di un piccolo comune d'Italia, con minori competenze ed esperienze, possa con il nuovo sistema entrare in un ufficio più complesso a livello centrale senza nessun filtro. Nessuna concessione in questo senso è arrivata dalla Madia che ha però riconosciuto l'esigenza di procedure che tengano conto della provenienze e della formazione dei candidati che ambiscono a un determinato incarico. Infine la rappresentanza ricevuta al ministero ha ottenuto che nelle norme sia reso più stretto il legame di appartenenza tra un dirigente e l'amministrazione presso la quale è in organico. Oggi, se passasse la riforma così come strutturata, dopo i 4 anni canonici la persona uscirebbe dai ruoli di un ente senza nessuna legittima aspettativa a riottenere lo stesso incarico. Con la modifica, invece, chi esce avrebbe comunque una sorta di corsia preferenziale per riottenere l'incarico scaduto.

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