Italiani più poveri, disoccupati e sfiduciati
Nei primi quattro mesi dell'anno emergono ancora «segnali di perdurante debolezza dell'attività economica». Lo rileva l'Istat nel suo rapporto annuale, presentato oggi alla Camera. L'indicatore sintetico del clima di fiducia delle imprese si mantiene su livelli storicamente bassi, gli ordini e la domanda sono giudicati ancora insoddisfacenti dalla maggioranza degli imprenditori della manifattura e dei servizi, mentre le attese sull'economia restano ancora depresse. PIÙ POVERI Un paese sotto il maglio della crisi, che vede raddoppiare solo nell'ultimo anno chi non ha neanche 800 euro in banca o sotto la classica mattonella per eventuali emergenze. La fotografia dell'Italia di oggi vede più che raddoppiata in un anno (dal 2011 al 2012) la quota di persone «gravemente deprivate»: dal 6,9% al 14,3%, mentre negli ultimi due anni il 25,2% della popolazione ha sperimentato almeno una volta la condizione di grave deprivazione materiale (il 6,2% in tutti e due gli anni, il 19% in uno solo dei due anni). Per restare nell'anno del raddoppio, il 2012, in termini assoluti si tratta di 8.608.000 persone. Per «grave deprivazione», spiega l'Istat, si intende una condizione di povertà materiale con la mancanza di quattro o più indicatori su un elenco di nove, e i 4 principali registrati nel nostro paese assomigliano a condizioni da paese in guerra: «la mancanza di possibilità di pagare il riscaldamento, non potersi assicurare pasti proteici adeguati ogni due giorni, niente vacanze, non avere a disposizione 800 euro per gli imprevisti». Se si considerano solo tre di questi elementi si passa alla categoria dei deprivati, quasi il 25% (che però comprende, avverte l'Istituto, anche i gravemente deprivati). DISOCCUPATI La crisi porta più donne al lavoro. L'occupazione femminile è cresciuta di 110 mila unità rispetto al 2011 (+117 mila rispetto al 2008). L'aumento nel 2012 dell'occupazione femminile è ascrivibile in parte alla crescita delle occupate straniere (+76 mila, pari a +7,9%) e, in parte, all'incremento delle occupate italiane ultra 49enni (+148 mila, +6,8%) che ha più che compensato il calo delle più giovani. Nel 2012 l'occupazione, dopo aver segnato un modesto aumento nel 2011, in generale è diminuita dello 0,3% rispetto all'anno precedente (69 mila unità in meno) e del 2,2% dal 2008 (-506 mila unità). Il calo è stato molto più accentuato nel Mezzogiorno, dove l'occupazione è scesa dello 0,6% nel 2012 (-0,3% nel Nord) e del 4,6% dal 2008 (-1,4 % nel Nord). La disoccupazione è aumentata del 30,2% nel 2012 (pari a +636 mila unità; oltre 1 milione in più dal 2008), anche in ragione della riduzione dell'inattività. L'Italia ha la quota più alta d'Europa (23,9%) di giovani 15-29enni che non lavorano nè frequentano corsi di istruzione o formazione (i cosiddetti Neet, Not in Education, Employment or Training). Si tratta di due milioni 250 mila giovani: il 40% è alla ricerca attiva di lavoro (49% tra gli uomini, 33,1% tra le donne), circa un terzo appartiene alle forze di lavoro potenziali, nel restante 29,4% sono inattivi che non cercano lavoro e non sono disponibili a lavorare. Il numero di Neet tra il 2011 e il 2012 è aumentato del 4,4% (+21,1% dal 2008, pari a 391mila giovani), per effetto della crescita della componente dei disoccupati (+23,4%, equivalente a 172 mila unità in più). SFIDUCIA NELLE ISTITUZIONI La situazione di profonda crisi economica che vive il Paese sta minando profondamente la fiducia dei cittadini nei confronti delle istituzioni e della politica. Unica eccezione le forze dell'ordine, in particolare i vigili del fuoco: a fronte del livello minimo registrato per i partiti politici, con una media di «gradimento» del 2,3%, a loro va un punteggio medio pari all'8,1%. Quanto alle istituzioni locali, la fiducia appare strettamente legata alla vivibilità del territorio. Gli effetti della recessione continuano a pesare sul mercato del lavoro. Le opportunità di ottenere o conservare un impiego per i giovani si sono significativamente ridotte. ABITUDINI DI VITA La crisi colpisce le famiglie e stravolge le abitudini di vita. Il potere d'acquisto delle famiglie è diminuito nel 2012 del 4,8%, certifica l'Istat nel suo rapporto annuale. Si tratta, evidenzia, di «una caduta di intensità eccezionale che giunge dopo un quadriennio caratterizzato da un continuo declino. A questo andamento hanno contribuito soprattutto la forte riduzione del reddito da attività imprenditoriale e l'inasprimento del prelievo fiscale».Per far fronte al calo del reddito disponibile, le famiglie hanno ridotto dell'1,6% la spesa corrente per consumi: ciò corrisponde a una flessione del 4,3% dei volumi acquistati, la più forte dall'inizio degli anni Novanta. Parallelamente, è diminuita la propensione al risparmio, che si attesta ormai su livelli sensibilmente inferiori rispetto a quella delle famiglie tedesche e francesi, più vicina alla propensione al risparmio del Regno Unito, tradizionalmente la più bassa d'Europa. Nel 2012 aumenta al 62,3% il numero di famiglie che hanno adottato strategie di riduzione della quantità e/o qualità dei prodotti alimentari acquistati (quasi nove punti percentuali in più rispetto all'anno precedente). Le tipologie familiari che nel 2012 hanno modificato maggiormente i comportamenti di consumo alimentare in senso restrittivo sono le coppie con figli, le famiglie di monogenitori e le famiglie con membri aggregati (più del 64% di tali famiglie). Nel 12,3% dei casi le famiglie scelgono per gli acquisti alimentari gli hard discount, soprattutto al Nord. Nel Mezzogiorno sale al 73% la quota di famiglie che riduce la quantità e/o qualità degli acquisti alimentari dal 65,2% del 2011. Al Nord tale strategia coinvolge il 55,5% delle famiglie (con un incremento di quasi 10 punti percentuali), al Centro il 61,8%. PICCOLE IMPRESE Quasi il 40% delle piccole imprese italiane, con meno di 50 addetti, soffre la carenza di risorse finanziare e vive questa condizione come un ostacolo alla propria attività. È quanto emerge dal rapporto Istat 2013, presentato oggi a Montecitorio. «Per questo segmento - si legge - l'aspetto finanziario rappresenta un vincolo più frequente anche rispetto alla scarsità della domanda, segnalata dal 33% delle imprese».