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L'urgenza di un piano per la disoccupazione giovanile

Governo e Parlamento devono trovare i fondi per aprire le porte del lavoro agli under 35

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Gli ultimi dati ISTAT sulla disoccupazione giovanile in Italia sono veramente drammatici: il tasso medio nazionale è arrivato al 38,4%, con un aumento del 3,2% rispetto ad un anno fa. Quattro giovani su dieci, in altre parole, non riescono a trovare un lavoro. A queste persone vanno aggiunte tutte quelle che né studiano né cercano un'occupazione (i NEET) e quelle che lavorano con retribuzioni vergognose o di importo zero (come tantissimi stagisti). Ho parlato di tasso medio: nel Sud e in una parte del Centro (Abruzzo, Molise, la provincia di Rieti) in realtà la percentuale di giovani senza lavoro è molto più alta: due disoccupati su tre o addirittura quattro ogni cinque. Non c'è dubbio che si tratta di uno dei problemi più gravi ed urgenti che Governo, Parlamento e parti sociali devono affrontare al più presto ed impegnarsi a risolvere. Lo hanno dichiarato solennemente, tra gli altri, sia Napolitano sia Enrico Letta; lo ha sottolineato anche Papa Francesco. Dare una speranza di futuro ai nostri giovani è una necessità assoluta da tutti i punti di vista, compreso quello della pace sociale. Governo e Parlamento dovranno trovare prioritariamente i fondi necessari per evitare che questi dati aumentino ulteriormente. Anche da qui passa la nostra ripresa economica. L'Unione Europea già da febbraio ha stanziato, oltre ad una parte delle disponibilità del Fondo Sociale, sei miliardi di euro per avviare il programma “Garanzia per i giovani”, un progetto di collegamento stretto tra il mondo della scuola e quello del lavoro, tale da favorire una concreta formazione professionale che tenga conto delle reali possibilità di occupazione sul territorio. Un progetto simile a quelli che hanno dato risultati molto rilevanti in Europa del Nord e in Austria. All'Italia – che sui 27 paesi che fanno parte dell'U.E. occupa il quarto posto tra le nazioni con la più alta disoccupazione giovanile (preceduta solo da Grecia, Spagna e Portogallo, ma con ottime possibilità di salire a breve al terzo posto) – dovrebbero toccare, dei sei miliardi, dai 400 ai 600 milioni di euro. Questi aiuti scattano però a condizione che ciascun paese vi aggiunga un proprio stanziamento e che sia in grado di proporre, entro breve tempo, concreti progetti di utilizzo finalizzati a interventi di politica attiva del lavoro. Non sussidi quindi, ma una nuova occupazione e iniziative di autoimprenditorialità. E' da augurarsi però che si riesca ad evitare ciò che troppe volte in passato è purtroppo avvenuto: l'incapacità di riuscire a “spendere”, soprattutto a causa di intoppi a livello regionale, i finanziamenti disposti dalle Autorità Europee.

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