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Valerio Maccari «Un governo dei tecnici, che si dice liberale, che indica come fondamentale la guida dell'Europa, dovrebbe aprire il mercato italiano all'energia eolica.

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Oggiservono davvero regole di mercato efficienti che devono mettere gli operatori indipendenti nella condizione di competere almeno ad armi pari». La provocazione arriva da Simone Togni, presidente dell'Anev, l'associazione che da dieci anni rappresenta i produttori di energia eolica italiana. La cui produzione, è proprio il caso di dirlo, è al palo, nell'attesa che il governo emani il decreto attuativo della direttiva europea sull'energia, detta 20/20/20. Perché prevede, appunto, di ridurre del 20 per cento le emissioni di gas a effetto serra, ha come obiettivo quello di portare al 20 per cento il risparmio energetico e infine vuole aumentare al 20 per cento il consumo di fonti energetiche rinnovabili. «Sono nove mesi che aspettiamo». Continua il presidente dell'Anev. «Senza decreto attuativo non sappiamo neanche quali saranno gli incentivi previsti per l'energia rinnovabile da fonti eoliche. Visti i livelli europei, dovrebbero essere intorno ai 70-80 euro per megawatt ora. Ci sono impianti in cui tutto è pronto per iniziare la costruzione entro un anno, ma nessuno inizia, proprio per l'incertezza legata agli incentivi». Senza sapere a quanto ammonteranno gli incentivi né quali saranno i meccanismi, infatti, gli imprenditori non possono prevedere il ritorno di investimento e, di conseguenza, sono costretti a tenere gli impianti bloccati. Il decreto si attende da settembre, anche perché la direttiva europea prevede che il sistema di incentivi entri in funzione il primo gennaio del 2013. Ma ormai il tempo risulta davvero poco. «Speriamo che, riconoscendo di essere la causa del ritardo, il governo decida almeno di posticipare l'entrata in vigore, per dare tempo agli imprenditori dell'eolico di essere pronti». Spiega Togni. «E che si eviti di decidere gli incentivi con il meccanismo delle aste, che aggiungerebbe burocrazia a burocrazia. Già abbiamo tempi di autorizzazione intorno ai tre-quattro anni, quando in Europa il limite è 180 giorni». Intanto, però, il settore - che pure è l'unica industria dell'energia rinnovabile italiana a esportare tecnologia all'estero - soffre le ripercussioni dello stallo. Togni su questo non è parsimonioso di parole: «Sono stati già licenziati 200 lavoratori, eppure l'industria eolica, se si attuasse quanto deciso dall'Europa, sarebbe un driver di crescita indispensabile per questo Paese». A pieno regime, infatti, occuperebbe sessantasettemila persone, raddoppiando la produzione di energia fino a coprire il 9 per cento del fabbisogno nazionale. E costerebbe meno del fotovoltaico: in effetti, più economica dell'eolica è solo l'energia idroelettrica, che però in Italia è stata già completamente sfruttata. «Per questo mi lascia perplesso il mancato intervento del governo». Conclude il presidente di Anev. «Il 90 per cento degli italiani è a favore dell'eolico. Due studi di esimi professori della Bocconi hanno individuato benefici per il Paese tra i 35 e i 79 miliardi di euro. Possibile che il governo, che pure, con la separazione di Snam e Eni ha fatto un passo avanti verso un mercato dell'energia vero, non se ne renda conto?».

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