Quattro quinti del reddito va al fisco
Intempi di crisi e di tasse crescenti gli italiani tagliano dove possono e così, secondo gli ultimi dati della Confcommercio, ad aprile la spesa si è ridotta del 2,8%. Ben quattro quinti del reddito medio delle famiglie, calcola del resto la Confesercenti, vengono «prelevati dal fisco», il cui peso sta diventando sempre più insostenibile. «Se prendiamo una famiglia tipo con un reddito lordo di 55.000 euro, - ha denunciato il presidente dell'associazione Marco Venturi all'assemblea annuale - quasi 40.000 di questi vengono assorbiti da contributi, tasse varie, dirette e indirette, nazionali, regionali, locali». Solo con le manovre Iva lo Stato scarica su ogni famiglia «680 euro l'anno». E non va meglio alle imprese, appesantite da «una valanga di prelievi»: fra Irpef, Ires, Irap e contributi sociali, sulle pmi ogni anno grava un onere di oltre 160 miliardi. Da aggiungere ci sono quindi gli oneri burocratici ed amministrativi statali che comportano costi «per 26 miliardi l'anno». «Siamo di fronte a una deriva», ha insistito Venturi, con «ben 694 scadenze fiscali con cui devono confrontarsi le imprese e 100 balzelli frutto della scatenata inventiva del nostro fisco». «Noi continueremo a condannare senza se e senza ma ogni atto intimidatorio contro Equitalia e contro i suoi dirigenti - ha quindi puntualizzato - ma questo non può diventare un alibi per non rivedere norme e comportamenti che colpiscono imprenditori esasperati dalla crisi e da una pretesa fiscale ormai insostenibile che troppo spesso dà la spallata finale a migliaia di imprese, spingendole verso la chiusura». Stretti tra tasse, riduzione del potere d'acquisto e effetti della crisi, gli italiani cercano quindi di cavarsela come possono, tagliando le spese, se necessario anche alimentari. Il calo dei consumi segnalato dalla Confcommercio, il peggiore da marzo del 2011, mostra infatti una riduzione del 4% sia della spesa per il cibo che di quella per l'abbigliamento e addirittura del 16% per il segmento mobilità, ovvero per l'acquisto di auto. «Un eventuale ulteriore aumento dell'Iva sarebbe un colpo mortale per famiglie e imprese», commenta il presidente, Carlo Sangalli. Il dato di aprile «conferma infatti la drammaticità e la profondità della crisi» che va superata con «provvedimenti per accelerare la crescita e rilanciare i consumi e la domanda interna, che vale l'80% del pil». Intanto l'Ufficio studi della Cgia di Mestre ha fatto i calcoli sull'impatto dell'Imu per le imprese. Sarà «una vera e propria mazzata»: rispetto a quanto pagavano sino all'anno scorso, la nuova imposta comporterà degli aumenti medi annui che potranno raggiungere anche l'82%. In totale sono 21 le amministrazioni comunali dei capoluoghi di provincia che hanno applicato l'Imu sui capannoni industriali. Tutti gli altri Comuni, ricorda la Cgia, avranno tempo sino al 30 settembre per ufficializzare l'aliquota, nel frattempo per queste ultime realtà gli imprenditori dovranno pagare la prima rata entro il 18 giugno applicando l'aliquota base del 7,6 per mille. Ritornando agli Enti locali che hanno già deliberato, gli imprenditori di Caserta, di Pesaro, di Savona e di Rovigo subiranno un aumento medio annuo, rispetto al 2011, del +82%; in questi Comuni gli aggravi in termini assoluti oscilleranno tra gli 749 euro del capoluogo polesano e i 1.378 euro del comune campano. Inoltre, prosegue la Cgia, per l'anno 2013 è previsto un ulteriore incremento del coefficiente moltiplicatore di altri 5 punti. «Con l'Imu - afferma il segretario della Cgia Giuseppe Bortolussi - c'è il pericolo che molte aziende non ce la facciano a sopportare un carico fiscale aggiuntivo così gravoso. Per questo è necessario che il Governo, che ne ha facoltà entro il 10 di dicembre 2012, riveda al ribasso l'aliquota base, al fine di evitare un inaccettabile aumento della pressione fiscale sulle imprese che già in questo momento non ha eguali in quasi tutta Europa».