Resa dei conti dentro Generali
Che prezzo stiamo pagando? Risponde Ignazio Visco, governatore di Bankitalia: «Un innalzamento della pressione fiscale a livelli ormai non compatibili con una crescita sostenuta». Non compatibile. Un macigno non solo sulla crescita economica, ma sulla fiducia di produttori e consumatori, elemento fondamentale per costruire il futuro. Le considerazioni finali del governatore offrono molti spunti, ma il tema chiave resta sempre il Fisco. Fotografare una situazione è utile, ma la via per trasformare un’immagine fissa in movimento non è chiara. La finanza ha le sue colpe, la governance globale ha mostrato enormi limiti, le forze transnazionali hanno tolto lo scettro agli Stati. Questo scenario applicato al nostro Paese fa emergere però anche un altro aspetto critico: la qualità del nostro capitalismo e delle imprese. Abbiamo un sistema manifatturiero straordinario, ma aziende piccole e indebitate. L’Italia è un gigante economico (terza economia d’Europa) e nello stesso tempo un nano imprenditoriale. E tra i pochi ciclopi, ci sono problemi di gestione, visione e capacità di business. L’ultimo scossone arriva da Trieste. Generali ha convocato per domani mattina a Milano un consiglio d’amministrazione straordinario e nell’ordine del giorno c’è il punto «sostituzione amministratori». Il consiglio va alla conta sui poteri dell’amministratore delegato, Giovanni Perissinotto. Gli viene imputato il calo del titolo in Borsa, il 45 per cento in meno in un anno. Che per gli azionisti privati si traduce in una minusvalenza da centinaia di milioni di euro. Fin qui, siamo nel terreno dei diritti degli azionisti di pretendere una gestione virtuosa dell’azienda su cui hanno investito. Val la pena di ricordare però che un anno fa Cesare Geronzi fu costretto a lasciare la presidenza di Generali. E allora si disse che il problema era lui, che il Leone di Trieste con la sua uscita avrebbe ruggito di nuovo, liberandosi di un manager troppo «romano», lontano dallo stile semi-asburgico di Trieste e dal soft power di Mediobanca. La realtà è che modificare il patto parasociale senza concordare la exit strategy non è stata una grande idea. Ma anche questo non è il nocciolo del problema. Il vero tema è quello della grande industria italiana, guidata in buona parte da capitani senza capitali, senza visione e senza coraggio imprenditoriale. Un solo manager in questi anni ha mostrato reale propensione al rischio: Sergio Marchionne. Ha internazionalizzato la Fiat comprando Chrysler in America. Nessuno ci avrebbe scommesso un euro. Ma così l’ha salvata dal declino italiano ed europeo dell’automobile. Generali - che è una grande azienda - è solo la metafora di un Paese che fa dello scontro di potere l’oggetto della sua azione. L’impresa è un’altra cosa. E si vede.