L'asse Monti-Merkel non regge più
Ora Mario Monti deve cambiare la propria agenda. Non è né un auspicio né un invito, è la semplice realtà dei fatti. Che vedono innanzi tutto il contrordine tedesco sulla Grecia: può andarsene dall'euro dice il ministro delle Finanze di Berlino, Wolfgang Schauble. Se il socio di un club non rispetta i patti meglio che esca, ripete in tandem il presidente della Commissione di Bruxelles, José Barroso. Si dirà: ad Atene prevalgono le forze antieuropee di destra e sinistra, sarà difficile formare un governo, forse i greci starebbero meglio fuori che dentro. Ma non è questo il punto: fino a due mesi fa l'uscita di un paese dall'euro era considerata tecnicamente impossibile, virtualmente proibita, foriera di catastrofe per i mercati. Questa era la linea di Angela Merkel, e sulla base della sua ortodossa applicazione sono stati concessi ad Atene i famosi prestiti (che ovviamente dovrebbero essere restituiti) a condizioni giugulatorie. Se la Germania cambia idea, o aveva bluffato prima, oppure sta bluffando adesso per mettere pressione ai greci e dare un segnale a tutti i paesi che si ribellano al rigorismo tedesco. Comunque, se alle parole seguiranno i fatti l'Italia si troverà più vicina alla linea del fuoco: una volta stabilito il precedente alla Grecia potrebbe seguire il Portogallo, forse l'Irlanda, e noi verremmo catapultati al fronte in compagnia della Spagna. L'Italia di Monti, da paese "core" - strategico per la tenuta economica e politica - dell'Europa e dell'euro, diverrebbe periferico, e se non altrettanto sacrificabile certo direttamente esposto al fuoco dei mercati. Monti, che aveva basato il proprio programma, le proprie relazioni internazionali, l'essenza stessa della sua chiamata al governo, sulla centralità dell'Italia in Europa, sul patto a tre con la Merkel e con la Francia allora di Nicolas Sarkozy, dovrà quindi fare il primo reset. Del resto neppure Sarkò c'è più: magari non era simpatico ma aveva la stessa idea d'Europa di Monti, basata sulla disciplina di bilancio, sull'asse con la Germania, sull'applicazione delle tavole di Bruxelles, e su un certo liberismo interno (molto all'acqua di rose per la verità). Francois Hollande è diverso e non solo perché ha preso le distanze dalla Merkel. Hollande è un socialista, ha promesso ai francesi di tornare alla pensione a 60 anni e una grande redistribuzione fiscale. Il suo interlocutore naturale all'interno è la Cgt, la Cgil francese, e quindi il mercato del lavoro non deve essere liberalizzato, ma irrigidito. E che la deregulation europea si fermi pure ai confini. Quanto alla spesa pubblica, ne serve di più, non di meno. Tutto il contrario, o quasi, di ciò che Monti ha promesso di fare in Italia. Per ora fermandosi alla riforma delle pensioni ed alle tasse; ma il resto della scaletta resta. Quanto potranno resistere il dogmatismo regolatorio e l'ortodossia eurocentrica del premier, ora che dalla Francia torna a spirare il vento dello stato sociale e sindacale? Un vento che tenta la politica italiana, con la sinistra che non vede l'ora di spedire Monti nella riserva della Repubblica, come Carlo Azeglio Ciampi nel '94, per tentare, sempre come nel '94, la conquista del governo? Ma la vittoria di Hollande parla anche al centrodestra, perché ciò che il nuovo titolare dell'Eliseo rivendica è un limite alla cessione di sovranità all'Europa - tanto più se ad appropriarsene è la Germania - e questo limite si chiama interesse nazionale e rappresentanza dei propri cittadini innanzi tutto. Ma torniamo al voltafaccia tedesco sulla Grecia. Che potrebbe avere altre ragioni. Di politica interna ovviamente: domani si vota nel NordReno-Vestfalia, un land strategico, e la Merkel si gioca una fetta di futuro e numeri parlamentari. Alzare la voce con i greci è sempre un buon modo, in Germania, per chiudere una campagna elettorale. Ma secondo molti il vero bersaglio grosso è un altro: il breakup dell'euro. Sono mesi che le grandi banche internazionali, dalla Ubs alla Goldman Sachs, lavorano su questo scenario. La Bank of England, banca centrale di un paese Ue, quindi organismo istituzionale al massimo grado, ha detto da tempo di aver pronto un piano B in caso di ritorno alle valute nazionali. Non solo. La Financial Service Authority, il controllore dei servizi finanziari della Gran Bretagna, ha appena inviato alle principali banche del paese una lettera per chiedere aggiornamenti sul livello di preparazione in caso di dissoluzione parziale o totale dell'euro. Ovviamente gli scenari tecnici sono in gran parte catastrofici, soprattutto nel caso che la Germania torni ad una sorta di super-marco assieme a qualche altro alleato nordico. E lo sono per l'economia tedesca in primo luogo, visto che questa nuova valuta sarebbe fortissima, penalizzando l'export. Ma le banche (a parte i clamorosi errori quando si muovono in proprio, ultimo esempio la perdita sui derivati di JP Morgan) analizzano scenari tecnici sulla base di simulazioni computerizzate. Un elemento che trascurano sono le strategie dei singoli governi, dettate non dal tornaconto immediato ma da logiche o azzardi politici e di potere. Ed è un fatto che la proiezione strategica della Germania è sempre meno europea e sempre più rivolta ad Est, alla Cina e alla Russia soprattutto. E su questi teatri disporre di una valuta forte e stabile per comprare energia e materie prime, ed attrarre capitali e investimenti, serve, eccome. Fantapolitica? Negli ultimi quattro anni abbiamo visto ben altro. Una cosa è certa: Monti deve aggiornare la propria agenda. E deve anche darsi un profilo più politico, sia in Italia sia quando va in giro per il mondo. I suoi punti cardinali sono investiti da una tempesta magnetica, le rassicuranti certezze custodite tra i labirinti e le moquette azzurrine di palazzo Justus Lipsius, sede dell'Unione europea, non sono più tanto certe. A proposito, chi era Justus Lipsius? Un umanista belga del 500 che teorizzò il dovere di dominare le "irrazionali emozioni dei popoli" con "appropriate, disciplinate e autocratiche regole di governo". Anche la sua opera ha bisogno di una revisione.