Un giovane su tre non trova lavoro
Un giovane su tre che cerca lavoro in Italia non lo trova. Una cifra drammatica, arrivata ieri dall'ultimo rapporto dell'Istat per il mese di marzo, che ci riporta indietro fino al gennaio del 2004: mai da allora il tasso di disoccupazione nell'età compresa tra i 15 e i 24 anni era stato così alto. Parallelamente, però, diminuisce il numero delle persone inattive, cioè quelle che non sono occupate. Questo perché tutte quelle categorie che fino a oggi si erano tenute fuori dal mercato del lavoro – neo-mamme e studenti, ad esempio – adesso con la crisi che morde sempre di più i bilanci delle famiglie sono costrette a cercare di portare a casa uno stipendio, anche se piccolo. Il dato che allarma di più e che fa riflettere sulla necessità per il governo di iniziare a mettere in cantiere qualche provvedimento per la crescita è quello che riguarda i più giovani. I «disoccupati» tra i 15 e i 24 anni, spiega l'Istituto di statistica, «sono circa 600 mila, cioè il 35,9% della forza di lavoro di quell'età e il 10,3% della popolazione complessiva della stessa età, nella quale rientrano studenti e altre persone considerate inattive secondo gli standard internazionali». Il numero complessivo di chi è alla ricerca di un posto a marzo schizza a 2,5 milioni, con un aumento di 66 mila su febbraio e di 476 mila su base annua (+23,4%). Un bilancio fallimentare al quale si aggiungono anche i numeri, terribili anche in questo caso delle previsioni di Eurostat: nella zona euro la disoccupazione, sempre a marzo, è aumentata al 10,9% rispetto al 10,8% di febbraio e al 9,9% nel marzo 2011. In Italia, invece, il tasso è passato dal 9,6% al 9,8%. Valutando complessivamente tutti i 27 Paesi della Ue il dato è rimasto invariato al 10,2% rispetto a febbraio, ma si mantiene comunque su un livello più elevato rispetto a marzo 2011, quando era al 9,4%. E poco consola il fatto che il Paese con il tasso di disoccupazione più alto sia la Spagna, perché subito dopo c'è l'Italia. Ma nelle pieghe di una situazione sempre più difficile si scoprono anche nuovi modi di «inventarsi» un lavoro per chi non riesce a trovarlo: darsi all'agricoltura per evitare la crisi. Secondo la Cia, la Confederazione italiana agricoltori, sempre più dottori in economia e marketing scelgono di investire nel settore primario e si reinventano agricoltori. Quasi il 35% degli under 40 del comparto, infatti, sono oggi laureati, e costituiscono l'8% dei conduttori agricoli italiani. Di fronte a questi numeri il governo prova a difendersi spiegando che la «fotografia» dell'Istat non può ancora tenere conto dei provvedimenti presi dall'esecutivo che incidono sullo sviluppo. «Tutto sta andando come purtroppo si prevedeva – ha spiegato il ministro Corrado Passera – Oggi paghiamo l'effetto combinato della recessione che segue un decennio di crescita insufficiente. E questi numeri sono l'effetto delle misure che abbiamo dovuto prendere per evitare lo scivolamento dei conti pubblici mentre non si può avere ancora l'effetto delle misure strutturali per la crescita». Giustificazioni che non hanno certo convinto i sindacati. Susanna Camusso, leader della Cgil, attacca a testa bassa: «È un dato drammatico ed è la ragione per cui noi continuiamo a dire che, se non ricomincia a crescere il lavoro, questo Paese si avvita in una crisi infinita. Le politiche di rigore sono politiche che stanno determinando recessione, ma anche depressione, e l'impossibilità di esercitare un diritto, che io credo resti fondamentale per le giovani generazioni, ma anche per quelle che sono in uscita dai luoghi di lavoro rispetto alla crisi, di trovarne un altro». Critico anche Raffaele Bonanni, segretario della Cisl: «Qui occorre una svolta nella politica economica, altro che spending review». E i dati dell'Istat hanno lasciato sconcertata la stessa Emma Marcegaglia, presidente uscente di Confindustria: «Sono numeri impressionanti». L'appello è al governo perché approvi il prima possibile misure per la crescita. Intervenendo, ad esempio, sul tema del pagamento dei debiti della pubblica amministrazione: «Ci vuole una decisione seria, forte e chiara – ha aggiunto – che faccia sì che le imprese che hanno crediti possano essere pagate. Nessuno di noi pensa che non si debbano pagare le tasse, ci mancherebbe altro, però questo è un tema vero: sono anni che ne parliamo e non c'è mai stata una soluzione. Perché se questa situazione di mancanza di cassa e di credito dovesse permanere non c'è dubbio che le imprese continuerebbero ad avere grandi difficoltà e c'è il rischio che la disoccupazione aumenti». Ma i dati dell'Istat fanno luce anche su un altro fenomeno, quello del «nero», che rappresenta una vasta area ancora nascosta. Nei primi tre mesi del 2012 gli ispettori del ministero del Lavoro hanno fatto controlli in 33.297 aziende riscontrando irregolarità in 16.665, ossia nella metà e arrivando a scovare 31.866 lavoratori irregolari, un terzo dei quali totalmente in nero.