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Itedeschi dell'Audi in sella alla Ducati

Ducati comprata dall'Audi

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Valentino Rossi non correrà più su un campione del made in Italy. La Ducati passa in mani tedesche. Il noto e storico gruppo motociclistico bolognese sarà acquisito dalla casa automobilistica Audi. Secondo quanto riporta l'agenzia tedesca Dpa, i consigli di vigilanza di Audi e della sua holding Volkswagen, domani pomeriggio autorizzeranno l'acquisto del marchio di Borgo Panigale per 860 milioni di euro dal fondo InvestIndustrial di Andrea Bonomi. Lo stesso Bonomi ha confermato che intende reinvestire in Ducati insieme al partner industriale con una quota di minoranza: «non ci dispiacerebbe partecipare alla prossima fase di crescita dell'azienda» ha affermato il finanziere milanese. Audi avrebbe ottenuto a marzo il diritto a trattare in esclusiva per Ducati fino al 15 aprile. Il passaggio di mano della casa motociclistica è solo l'ultimo in ordine cronologico di uno shopping dei «gioielli» nazionali che si è fatto particolarmente insistente. La crisi gioca a favore di chi ha messo da tempo gli occhi sui campioni del made in Italy e ora può approfittare della recessione per impadronirsene. La Germania che ha finanziato il debito e l'economia grazie agli alti tassi dei titoli di Stato italiani e spagnoli, ora ha un sistema imprenditoriale forte che può quindi guardare al panorama europeo per fare shopping. Da quando la crisi ha cominciato a manifestarsi, ovvero nell'ultimo triennio, ben 229 aziende italiane sono state acquistate da imprese estere. I dati elaborati dalla società di consulenza Kpmg non lasciano dubbi. Nel 2011 le imprese straniere hanno fatto man bassa delle aziende italiane. Sono in tutto 108 acquisizioni tra grandi e piccole, per un controvalore totale di 18 miliardi di euro. L'interesse nei confronti delle imprese nazionali si è mantenuto pressoché costante continuando a riguardare quasi tutti i comparti della nostra economia: dal tessile-abbigliamento all'alimentare, dalla meccanica strumentale alla componentistica, passando per i settori tecnologico, telefonico, energetico, sono numerosi i «campioni» della nostra imprenditoria che sono progressivamente passati in mani estere, con l'inevitabile trasferimento dei processi decisionali al di fuori dei confini nazionali. È di pochi giorni fa la notizia che la Stock ha deciso di chiudere la fabbrica di Trieste e di trasferirsi nella Repubblica Ceca. Ma l'azienda era già del fondo di private equity Oaktree, che è entrato in possesso del sito nel 2007 con l'acquisto della società dalla multinazionale tedesca Eckes. Nel 2011 la maison del gioiello Bulgari è finita al colosso mondiale del lusso Lvmh di Bernard Arnault per 4,15 miliardi. La famiglia Bulgari è entrata nel cda francese ma nessun gruppo del lusso italiano ha rilanciato. Appena il tempo di digerire la perdita di questo importante marchio nostrano ed è stata la volta di Parmalat, secondo gruppo agroalimentare italiano finito ai francesi di Lactalis per 3,7 miliardi. Uno smacco in piena regola per un'azienda che veniva da una fase di ristrutturazione finanziaria complicata post crac Tanzi. L'ex ministro Tremonti aveva annunciato norme antiscalata sul modello francese, ma poi partorì poco o niente e l'acquisizione andò in porto con il benestare di IntesaSanpaolo (ex azionista forte di Parmalat). Così è andato in porto l'acquisto di Edison da parte della società statale transalpina Edf, che ha messo le mani sul secondo player commerciale di luce e gas. Sempre nel lusso sono passati ai francesi la Brioni, quella degli smoking di James Bond, acquisita dalla Pinault Printemps Redoute (Ppr) e Moncler, dov'è entrata con il 45% la finanziaria Eurazeo. Non fa eccezione l'industria vinicola. L'Italia è tra i primi produttori al mondo di vino eppure non ha un'azienda di respiro internazionale. Gancia è andata all'imprenditore tartaro Roustam Tariko, attivo nella vodka e banchiere. Prima di lui la Ruffino era finita agli americani di Constellation Brands.

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