La spesa si ferma Ma non basta
Rassegniamoci. La spending review non darà un euro per meno tasse con meno spesa, come ha ammesso lo stesso ministro Piero Giarda in un'intervista a La Stampa. Il governo parla di manutenzione della spesa pubblica. Mentre servirebbero ascia e bisturi. Secondo Giarda, azioni più incisive sulla spesa implicherebbero rilevanti riflessi sul livello delle prestazioni, tra le quali anche servizi essenziali quali scuola, sanità e sicurezza, posto che interventi significativi sono già stati fatti e con essi si è ottenuto, per la prima volta nella storia del Paese, di stabilizzare il livello di spesa pubblica del 2009 fino a tutto il 2013. Al netto degli interessi passivi, la spesa pubblica nel 2009 è stata pari a 727 miliardi, nel 2010 a 723 miliardi, nel 2011 a 721 miliardi, nel 2012 è prevista in misura pari a 719 miliardi e nel 2013 a 720 miliardi. Ma cosa è successo fino al 2009? Secondo l'analisi del centro studi tributario Eutekne, dal 1980 al 1991, la spesa pubblica è cresciuta in termini reali del 63,97%. Dal 1991 al 2000, è cresciuta molto meno, ma, nonostante il grande spavento della quasi bancarotta e i buoni propositi della Seconda Repubblica, è comunque salita in termini reali del 6,95 per cento. Nel 2000, la spesa pubblica al netto degli interessi passivi era pari a 475 miliardi. Dal 2000 al 2006, al netto degli interessi passivi, è sorprendentemente cresciuta in termini reali del 21,22%. Non solo. Se dal 1991 al 2000 l'aumento del 6,95% è stato accompagnato da una riduzione dell'incidenza della spesa pubblica sul PIL dal 42,80% al 39,64%, viceversa dal 2000 al 2006 la sua incidenza sul PIL è cresciuta dal 39,64% al 44,33 per cento. Dal 2006 in poi, la folle cavalcata viene arrestata. Dal 2006 al 2008, la spesa pubblica diminuisce in termini reali dello 0,39%; dal 2008 al 2011 dello 0,13%; dal 2011 al 2014, dovrebbe diminuire, sempre in termini reali, del 2,78 per cento. Ha dunque ragione Giarda quando sottolinea che stiamo vivendo un periodo di stabilizzazione della spesa pubblica che non ha precedenti nella storia della Repubblica. «Gli interventi a tutt'oggi messi in campo non hanno però riassorbito i vertiginosi aumenti del passato, tanto è vero che il raffronto tra 2000 e 2011 evidenza ancora un incremento in termini reali del 20,59%», sottolinea il direttore di Eutekne, Enrico Zanetti. Prendiamo appunto la spesa pubblica al netto degli interessi passivi del 2000, pari, come detto, a 475 miliardi. Attualizzata con l'inflazione, si tradurrebbe nel 2011 in 598 miliardi, ossia 124 miliardi in meno dei 722 che sono stati effettivamente spesi. Affermare che mettere in discussione quei 124 miliardi inciderebbe sul livello di prestazioni di servizi anche essenziali, significa ritenere che il livello generale delle prestazioni e della protezione sociale offerte dallo Stato nel 2011 è cresciuto in modo proporzionale a detto incremento rispetto ai corrispondenti livelli del 2000. È indubbio che una parte di quell'incremento trovi giustificazioni macroeconomiche e sociali. È però difficile pensare, come invece le affermazioni di Giarda lasciano implicitamente intendere, che i restanti 64 miliardi di quell'incremento complessivo di 124, generatosi tra il 2000 e il 2006 e solo in minima parte riassorbito dal 2006 in avanti, non possa essere in buona parte ascritto più a sprechi, inefficienze e sperperi da tagliare che non a un accrescimento qualitativo del livello delle altre prestazioni erogate ai cittadini. Nel dettaglio, questi 64 miliardi di incremento reale della spesa sono riconducibili per 14 alle retribuzioni dei lavoratori del pubblico impiego; per 63 ai cosiddetti consumi intermedi, ossia gli acquisti di beni e servizi da parte dello Stato; per 8 alla spesa per investimenti. Il totale fa 85, ma sono appunto 21 i miliardi di complessiva riduzione in termini reali delle altre voci di spesa, quali ad esempio ammortamenti, contributi alla produzione e imposte che le amministrazioni pubbliche devono esse stesse pagare. «È del tutto evidente – aggiunge Zanetti - quanto spazio di azione vi possa essere in quei 63 miliardi di incremento reale dei consumi intermedi, rispetto al livello cui essi si attestavano nel 2000. Si noti per altro come questo importo si allinea perfettamente con la stima di 60 miliardi più volte rilanciata in questi ultimi mesi dal Presidente della Corte dei conti, in merito al costo per la collettività degli sprechi, delle inefficienze e degli sperperi che caratterizzano un settore pubblico ove è sempre più evidente la dilagante corruzione. Sul fronte dei consumi e della produzione, il Paese è suo malgrado già tornato sui livelli di oltre dieci anni fa». Perché, si chiede dunque Zanetti e noi con lui, mentre il Paese soffre e arretra, lo Stato dovrebbe considerarsi già bravo a limitarsi a non avanzare oltre?