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La lettera dell'Acri: le Fondazioni hanno Nobili "fini"

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Mario Sechi risponde: Allora paghino l'Imu come tutti

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Gentile Direttore, Le scrivo in relazione agli articoli apparsi recentemente per fornire alcune informazioni che possano giovare a una più serena comprensione dei fatti e della natura e attività delle Fondazioni di origine bancaria. Credo sia doveroso fare chiarezza su un aspetto di carattere generale: si parla costantemente di Fondazioni di origine bancaria anteponendone i mezzi ai fini. Si parla, cioè di Fondazioni concentrandosi sui loro patrimoni (mezzi) e si sorvola sulla loro missione (fini). Le Fondazioni perseguono esclusivamente finalità di utilità sociale e di sviluppo del territorio, come previsto dalla legge che le regolamenta. Gli ambiti di intervento, 21, anche questi normati per legge, vanno dal volontariato alla prevenzione e recupero delle tossicodipendenze, dall'assistenza agli anziani alla salute pubblica, dall'arte e cultura all'educazione, istruzione e formazione, dalla ricerca scientifica alla protezione e qualità ambientale. In questi ambiti le Fondazioni intervengono mettendo a disposizione - oltre alle proprie competenze, capacità di ascolto e capacità di fare rete - le risorse derivanti dall'impiego dei propri patrimoni. Nel solo 2010 le Fondazioni hanno erogato a favore di associazioni di volontariato, cooperative sociali, associazioni di promozione sociale, università, istituti di ricerca, enti culturali, istituzioni locali, ecc. circa 1,366 miliardi di euro. Quindi le Fondazioni operano con una duplice veste. Quando si parla di fini, agiscono in veste di ente no profit che sostiene soggetti del privato sociale e delle istituzioni locali per la realizzazione di iniziative a favore esclusivo dei beneficiari finali, cioè i cittadini. In questa veste sono assoggettate al regime fiscale che vale per tutti gli altri soggetti no profit. Nessun trattamento di favore, quindi. Con riferimento all'IMU, ad esempio, questa non viene pagata solo nei casi in cui l'immobile sia adibito a quelle attività per le quali la legge, per tutti gli enti non commerciali, ha previsto una esenzione. La domanda è: perché dovrebbero pagarla e quindi essere discriminate? La risposta che va per la maggiore è la seguente: perché hanno ingenti patrimoni. Ma nella seconda veste, quella di gestori dei propri patrimoni (i mezzi), le Fondazioni sono assoggettate alla medesima tassazione degli investitori. Quindi, ad esempio, sono assoggettate alla nuova aliquota di imposta sulle attività finanziarie pari al 20%. È vero, hanno ingenti patrimoni (e sarebbero ben felici, le Fondazioni, se le affermazioni circolate circa una valorizzazione pari a 150 miliardi di euro fossero vere; purtroppo il totale dei loro patrimoni ammonta a meno di un terzo), ma proprio perché sono ingenti, sui proventi che generano le Fondazioni di origine bancaria pagano ingenti quantitativi di tasse. Sono degli ottimi contribuenti per il fisco. Anche qui, nessun trattamento di favore. Il passaggio dell'aliquota sulle attività finanziarie dal 12,5% al 20% inciderà per circa 70 milioni di euro sui bilanci delle Fondazioni. E questi 70 milioni di euro andranno a diminuire di pari importo le risorse che le Fondazioni destinano ai territori. Meno risorse, quindi, per assistenza sociale, giovani, cultura, ricerca, università, ospedali. In un paese "normale", senza pregiudizi, il legittimo, doveroso e auspicabile controllo sociale su questi enti dovrebbe concentrarsi su due aspetti. Da una parte dovrebbe verificare l'efficacia e l'efficienza delle attività messe in atto per il perseguimento della propria missione ed essere da pungolo per un costante processo di miglioramento degli interventi sostenuti e della trasparenza dei processi decisionali. Dall'altra dovrebbe verificare se, come dice la citata norma, gli investimenti tutelano il patrimonio a beneficio delle future generazioni e se la redditività generata dal loro impiego è, nel lungo periodo, adeguata. Sotto questi punti di vista le Fondazioni, nel corso dei primi 20 anni di vita, hanno fatto passi in avanti. Ma sono altresì consapevoli che il miglioramento debba essere continuo. Per questo motivo si sono dotate di uno strumento di autoregolamentazione, la Carta delle Fondazioni, la cui adozione consentirà un ulteriore sviluppo nel loro percorso di consolidamento. Invece, si preferisce mantenere una confusione di fondo funzionale a screditare le Fondazioni a prescindere da qualsiasi valutazione oggettiva e puntuale. Quando si sostiene, contra legem, che i patrimoni delle Fondazioni potrebbero essere utilizzati per abbattere il debito pubblico, ci si rende conto che questo significherebbe privare i territori, già pesantemente penalizzati dalla crisi, di risorse estremamente significative, gestite dal privato sociale e dalle istituzioni locali che, salvo eccezioni, hanno sempre dimostrato una grande capacità di prossimità ai bisogni dei cittadini e di mantenimento della coesione sociale? Le Fondazioni sono impegnate proprio su questo fronte e operano per dare attuazione al principio di sussidiarietà orizzontale, sancito dalla nostra Costituzione, per la promozione di comunità attive, coese e solidali. Sono impegnate con senso di responsabilità ma anche con la consapevolezza che si possa e si debba migliorare.

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