Il Wsj scarica Monti. "Sul lavoro si è arreso"
Mario Monti è stato chiamato a salvare l'Italia tra i favori e le odi della stampa anglosassone. Ha cominciato il suo lavoro facendo digerire al Paese un aumento della pressione fiscale senza precedenti. Gli italiani, a malincuore, si sono messi in fila alla cassa con qualche mugugno ma anche con grande senso di responsabilità. Ora però il vento favorevole sembra non soffiare più così forte nelle vele del premier professore. Reo secondo il Wall Street Journal di non aver mantenuto la promessa di fare il possibile per «salvare il suo Paese dall'orlo dell'abisso greco». Per il quotidiano finanziario infatti la riforma del lavoro «è una resa a coloro che cercano di trascinare» l'Italia verso quel precipizio. Un dietrofront durissimo arrivato ieri come un siluro contro Palazzo Chigi con un duro editoriale nel quale vengono rimangiate le lodi per il titolare di Palazzo Chigi, paragonato solo pochi giorni fa a Margaret Thatcher «in un attacco di temporanea eurofollia». E, invece, le ultime modifiche sull'articolo 18, con la reintroduzione del reintegro in caso di licenziamento per motivi economici illegittimi, fanno sì che «la migliore analogia con i britannici possa essere con Ted Heath, sventurato predecessore Tory» della Lady di Ferro. In fin dei conti, osserva il quotidiano americano, la riforma del lavoro, così come originalmente ideata, poteva sembrare «un bicchiere d'acqua per un Paese che ha i problemi economici dell'Italia. Ma almeno prometteva di muoversi nella giusta direzione». Invece, «persino questa modesta riforma si è rivelata troppo per i sindacati e i loro alleati politici». Insomma se la luna di miele con una buona parte degli italiani è finita da tempo, e questo poteva anche essere comprensibile, gli sponsor internazionali hanno mollato il professore al suo destino. In fondo quella del lavoro rischia di essere in ogni caso una riforma a metà da qualunque parte la si prenda. Accontenta tutti in parte e dunque nessuno pienamente. Per i liberisti è troppo morbida e non sposta i grandi disequilibri del mercato occupazione. Per i sindacalisti la retromarcia sui motivi economici, per i quali è stata introdotta la possibilità del reintegro, è apprezzata ma rischia di svuotare le tutele dei lavoratori. Insomma un ibrido generato anche dalla troppa fretta di trovare la quadra per non scontentare il Partito Democratico che sul primo testo uscito dal consiglio dei ministri si era messo di traverso. Una retromarcia che i mercati finanziari non hanno comunque apprezzato. E non a caso da qualche giorno lo spread ha cominciato a risalire e a mettere di nuovo paura portandosi pericolosamente verso quota 400 punti base. Sarà anche per calmare gli speculatori già pronti a fare cassa che ieri il primo ministro Monti ha spiegato ancora una volta che «l reintegro per i licenziamenti economici infondati è solo una possibilità che il giudice valuta esclusivamente nei casi di manifesta insussistenza del motivo del licenziamento. Insomma ha precisato Monti «per il motivo economico non è più previsto il reintegro, solo nel caso che il motivo economico sia coniderato manifestamente insussistente il giudice può - non deve, come chiedevano il Pd e certi sindacati - decidere per il reintegro». Sarà. Ma i mercati non si fidano ugualmente.