Una visione senza futuro
Il poeta Thomas Stearns Eliot cantava: «Aprile è il mese più crudele». Per la Fiat e il Paese è stato marzo a rivelare la sua faccia feroce. Il mercato dell’auto è letteralmente crollato, la casa torinese non andava così male da trentadue anni. Mentre questi dati terribili sulla principale industria italiana andavano in rete, contemporaneamente l’Istat diffondeva numeri da brivido sulla disoccupazione. Il Paese si sta avvitando su se stesso, nessuno - ripeto, nessuno - ha tirato fuori una ricetta plausibile per uscire dalla palude. Né quella che si considera l’elite, la classe dirigente né il governo dei tecnici né i partiti né altre istituzioni pur illuminate, come la Chiesa, hanno indicato una via praticabile per rilanciare il Paese. Perché hanno occhi e mente rivolti al Novecento. È inutile, cara signora Camusso, dire a Marchionne che con la sola Panda non si conquistano fette importanti del mercato automobilistico. Questo lo sanno tutti. Ma il suo mestiere non è quello di scegliere i modelli, né di fare l’amministratore delegato, ma di innovare le relazioni industriali, spiegare ai suoi colleghi della Fiom che così si finisce in panne. Invocare paghe come la Germania, significa essere responsabili come gli operai tedeschi, che sono parte dell’impresa e non antagonisti. Gli avversari di Marchionne in queste ore hanno un sottile fremito di piacere. Sciagurati. La Fiat è un’azienda globale da quando è sbarcata in America, può chiudere in Italia e riaprire all’estero. È una dura realtà difficile da digerire. Fiat è lo specchio della crisi italiana ed europea, è la folle corsa kamikaze di un sistema che non vuole riformarsi. Fiat è la faccia sofferente della produzione non delocalizzata. L’altro volto è quello della disoccupazione crescente. I mercati internazionali osservano grafici con proiezioni iperboliche di quote di giovani e donne in cerca di un lavoro che non c’è. È irresponsabile usare strumentalmente i numeri della crisi dell’auto per ostacolare un cambiamento più che mai necessario. Qui si sta giocando sulla pelle delle persone e ho letto dichiarazioni a raffica da destra, da sinistra e dal centro che sono l’evidente frutto di un’allucinazione collettiva del Palazzo: tutto tornerà come prima. Non hanno capito: niente sarà come prima.