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Eni chiede 7 miliardi per cedere Snam

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Presentato il piano strategico fino al 2015: pronti a investire 60 miliardi

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Nonsarà in ogni caso un'operazione indolore per chi comprerà. Smentendo le ipotesi circolate sul passaggio della quota di Eni a Cassa Depositi e Prestiti a costo zero, Scaroni ieri è stato molto chiaro alla società «dovrà essere riconosciuto l'intero valore di mercato» del 50% detenuto nella società, pari a circa 7 miliardi di euro. Insomma Eni è pronta a liberarsi senza remore di un asset ritenuto non più essenziale. Non a caso l'obiettivo del gruppo è quello di uscire completamente dal capitale della società, senza mantenere nessuna quota di minoranza, del 5 o 10% che sia, e ottenere dalla vendita della propria partecipazione «benefici per gli azionisti». «La posizione del consiglio di amministrazione di Eni - ha chiarito - è che il processo di cessione deve rispondere a tre criteri. Deve portare benefici agli azionisti di Eni, e quindi deve riconoscere l'intero valore di Snam, deve proteggere gli interessi degli azionisti di Snam e deve rafforzare il bilancio di Eni in vista dei suoi obiettivi di sviluppo». Che appunto non hanno più nulla a che fare con le reti: «il mio cervello ha smesso di pensare a Snam - ha insistito Scaroni - stiamo disinvestendo e non è più il mio business, qualcuno ci penserà». Scaroni ha anche assicurato una crescita rapida dell'Eni «non solo per i prossimi quattro anni» ma per «le prossime decadi», grazie ad un aumento della produzione nei giacimenti giant e a un nuovo sostenuto piano di investimenti da 60 miliardi di euro. Per il quadriennio 2012-2015 l'ad ha puntato il faro sul ruolo crescente dell'upstream all'interno del gruppo petrolifero, garantisce la «solidità finanziaria» e conferma la politica dei dividendi. La crescita sarà tutta basata quindi sulla produzione (+3% annuo fino al 2015) soprattutto su cinque aree chiave (Russia, mare di Barents, Kazakhstan, Venezuela e la regione dell'Africa sub-sahariana), «oltreché sul rapido recupero della produzione libica a livelli ante crisi». Nei quattro anni gli investimenti saliranno quindi a quasi 60 miliardi di euro ed oltre il 75% sarà destinato proprio alle attività upstream in quei Paesi da cui ci si aspetta di più e dunque allo sviluppo dei progetti di Zubair (Iraq), Junin 5, Perla (entrambi in Venezuela), Goliat (Norvegia) e Kashagan (Kazakhstan).

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