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Draghi vede la ripresa e difende i prestiti Bce

Mario Draghi

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Dismessi i panni del «tecnico» e quelli del «tedesco» che gli erano stati appiccicati addosso quando stava per prendere il timone della Bce, Mario Draghi ha mostrato un'altra faccia di sé, gettando acqua sulle polemiche tedesche contro la liquidità facile ma allo stesso tempo tirando dritto con i maxi prestiti "bazzoka" dell'Eurotower. Il consiglio direttivo di ieri, in realtà, era già intonato su un registro inusuale: di tassi d'interesse, lasciati all'1%, come ha spiegato lo stesso presidente della Bce non se ne è praticamente discusso. E visto che anche le altre decisioni operative di politica monetaria erano d'importanza minore, è stata quasi la politica, in senso ampio, a prendere il sopravvento. È un Draghi «politico», tanto per cominciare, quello che a dispetto delle premesse del suo mandato (quando era stato salutato come più teutonico dei Bundesbanker di Francoforte) ieri ha rivendicato il successo del suo «Ltro». Gli oltre 1.000 miliardi di euro di maxi-prestiti triennali a tasso agevolato - ha spiegato Draghi curandosi poco della polemica tedesca sui rischi di tanto denaro facile - «tutto considerato hanno conseguito un grande miglioramento»: basti «guardare alla situazione dello scorso novembre e a quella di oggi». Ma l'ex governatore di Bankitalia si è spinto oltre. Anche se i due «Ltro» si sono esauriti, sul futuro non si può mai dire, è sembrato accennare: ora «valutiamo a fondo» gli effetti della pioggia di denaro che ha inondato l'Eurozona, ma sul futuro «non ci leghiamo mai le mani» è la risposta a chi chiedeva se il programma straordinario sia ormai archiviato. Ai giornalisti tedeschi che lamentano effetti perversi sui prezzi del petrolio e sui cambi, Draghi ha smontato l'argomentazione principale. E si è tolto un sassolino anche nei confronti del Wall Street Journal, argomentando numeri alla mano che i rischi nel bilancio Bce non sono affatto maggiori di quelli della Fed o della Bank of England. Ma è in risposta alla Bundesbank che Draghi ha mostrato doti politiche finora poco messe in luce. Una lettera di Jens Weidmann, presidente della banca primo azionista della Bce, è filtrata nei giorni scorsi alla Franfurter Allgemeine Zeitung creando scompiglio per le decise critiche ai rischi presi dalla Bce e rafforzando l'indagine di una istituzione isolata. «Sono certo che non è stato Jens a farla filtrare», ha detto Draghi. «Tutti dobbiamo moltissimo» alla «Buba», e «nessuno, proprio nessuno, è isolato». Tuttavia - è l'invito ai tedeschi - «tutti siamo sulla stessa barca», e non c'è niente da guadagnare con litigi e dichiarazioni pubbliche« esterne al consiglio. Un invito a serrare i ranghi di fronte alla crisi, accompagnato da misure concrete per la Grecia (le banche potranno tornare a fornire i titoli ellenici a garanzia dei prestiti che ricevono dalla Bce) e corredato da un bilancio 2011 della Bce che si è chiuso in forte utile (728 milioni) dopo 1,2 miliardi accantonati proprio per coprire i rischi. Anche con i leader europei, alle prese con opinioni pubbliche confuse, Draghi è sferzante: se vogliono solidarietà europea - è la sostanza - l'unico modo è «cedere sovranità di bilancio». Un Draghi «politico», insomma, al punto da mettere in ombra le tematiche economiche che pure sono scottanti. A partire dalla crescita attesa per i Diciassette, rivista in peggio dalla Bce per il 2012 (-0,1% la media) e il 2013 (appena sopra l'1%) mentre l'inflazione, complice il petrolio, rialza la testa allontanando ipotesi di tagliare ancora i tassi. Ci sono «segni di stabilizzazione» - dice Draghi - ma anche «rischi al ribasso», appunto.

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