Ad Atene sta bruciando l’Europa
L’Europa rischia di morire dove è nata. Una sorta di un ritorno nel grembo da dove era volata via. La leggenda narra che Zeus rapì Europa e la portò con sé a fecondare il Mediterraneo e poi Esperia, la terra del tramonto. Creta fu il loro nido dove vide la luce la civiltà minoica che sarebbe stata il seme della civiltà europea dispiegatasi poi nell’Ellade, patria di eroi, poeti, artisti, avventurieri, sacerdoti e legislatori. Atene fu il suo cuore. E da essa prese forma il Continente oggi immemore delle sue radici che conquistò il diritto ad esistere contrapponendosi all’Asia. Non una guerra tra civiltà e barbarie si produsse tra le due immense aree rappresentate dai greci e dai persiani poiché questi nulla avevano in termini di cultura da invidiare agli altri. Ma la lotta fu politica e tra concezioni del mondo. La Persia incarnava la monarchia universale, lo Stato totalitario; la Grecia il primato della persona, dell’individuo assoluto che trova la sua dimensione nella comunità organica. Questa eredità è il dono che Atene ha lasciato all’Europa. La battaglia di Salamina fu il suggello eroico di quel legato. Era il 480 avanti Cristo. Dopo 2500 anni, le tenebre stanno scendendo sul questo antico Continente e si allungano, per una sorta di tragico e beffardo destino, su quel lembo estremo d’Europa che è la Grecia, la sua culla. Infatti i popoli che le tagliano le mani sono gli stessi che quelle mani hanno nutrito. Di cultura, di poesia, di filosofia, di religiosità. Facendo diventare l’Europa ciò che è. Davanti alle vicende ateniesi rabbrividirebbe il vecchio Jakob Burckhardt dalla sua cattedra di Basilea, ammutolirebbero Erwin Rodhe e Friedrich Nietzsche che con Willamovitz-Moellendorf nuotarono nella filologia classica alla ricerca del mito di Europa. Antiche suggestioni. Eccentriche, incomprensibili forse dalle parti dell’Eurotower di Francoforte e nelle «case della democrazia» di Bruxelles e di Strasburgo. Qui nessuno s’indigna per Atene che brucia. Fanno piuttosto i conti del dare e dell’avere gli «europeisti» tedeschi e francesi, travestiti da statisti. Soprattutto i primi, rigoristi esemplari quando devono mettere mano ai loro portafogli, hanno fatto in fretta a dimenticare ciò che l’Europa gli ha dato prima del 1989 e dopo quell’anno fatale. Compresi i greci i quali, sono sempre stati reputati culturalmente come fratelli maggiori dai tedeschi. In queste ore si dissolve il sogno della nazione greca, come capitò a metà degli anni ’60 del secolo scorso. Ma con una differenza. Allora l’Europa c’era, si fece sentire, rivendicò la Grecia come parte essenziale di se stessa e non la lasciò nelle mani dei suoi carnefici. Oggi da Atene si diffonde un contagio propagato proprio da quei sedicenti virtuosi Stati europei, in realtà untori politici, che hanno venduto le loro anime alle banche, all’alta finanza, alle agenzie di rating, agli speculatori d’Occidente e d’Oriente affinché qualche profitto si salvasse sia pure a prezzo della morte di qualche popolo. È questa la morale corrente che sostiene l’idea di Europa. Un’idea corrosiva, sposata dalla Germania che non ha imparato nulla dalle lezioni che la storia le ha impartito. I suoi governanti, dall’intransigente Schauble alla tetragona Merkel, non hanno capito che la democrazia si fonda sulla dignità dei popoli e sulla tutela dei loro diritti. Probabilmente di Salamina non sanno nulla. Ma qualcosa dovrebbero ricordare di un Muro indecente che pure deve averli fatti soffrire. Adesso, con la complicità silente di altri Stati, forse al di là delle loro intenzioni, stanno costruendo altri muri, distruggendo di fatto quel poco di Europa che dal 1946 ad oggi eravamo riusciti a mettere insieme. Beninteso, siamo sempre stati dell’avviso che non si realizza un’unità politica prescindendo da una cultura condivisa e coltivando egoismi e particolarismi. Ma neppure è possibile immaginare un’Europa nella quale le sovranità sono state delegate dagli Stati ad organismi burocratici che non rispondono a nessuno, tantomeno ai popoli. A Salamina contro i persiani come a Belgrado, a Lepanto e sotto le mura di Vienna contro gli ottomani, l’Europa si ritrovò con le sue molte genti, i suoi diversi Stati e le sue culture a difendere la comune civiltà. Malauguratamente essa ha dimenticato, considerandosi continente, di essere una nazione divenuta tale per affinamenti progressivi, commistioni identitarie, amalgama religioso prodotto dal cristianesimo. E le nazioni possono anche collassare quando il loro spirito si affievolisce fino a smarrirsi e soprattutto se non sono sostenute da entità giuridiche, amministrative o statuali. Siamo a una svolta cruciale. Ad Atene non sta bruciando soltanto la Grecia. È l’Europa che si sta incendiando.