Quando il liberismo uccide i popoli
Bruxelles discute mentre Atene brucia. È questa la fotografia di una grande questione da troppo tempo irrisolta, quella del rischio di default di uno Stato sovrano, la Grecia, membro della comunità europea e della zona euro. Il lungo tempo trascorso ha prodotto un aggravamento della situazione attraverso una richiesta crescente dell’Europa alla Grecia di tagli e di impegni gravosissimi con una società greca sempre più spinta sulla strada della disperazione. Non c’è alcun dubbio che gli Stati membri debbano fare oggi ciò che non hanno fatto ieri per risanare le finanze pubbliche e riprendere una crescita economica, ma alla stessa maniera è altrettanto certo che risanamento e crescita sono obiettivi che possono essere raggiunti sempre quando il paese, la sua società e le sue istituzioni non vengano spinte verso una dissoluzione sociale e un’anarchia istituzionale che non garantirebbe né i creditori né la stabilità dell’euro. Abbiamo l’impressione che lentamente l’Europa stia assumendo quella politica fallimentare del fondo monetario internazionale verso i paesi in via di sviluppo. In quelle circostanze, infatti, il FMI ha sempre costretto il Paese a politiche ultra liberiste e a privatizzazioni globali (in quel caso di giacimenti di materie prime) che impoverivano definitivamente il paese con effetti sociali devastanti. La filosofia del FMI era indirizzata, sostanzialmente, alla difesa dell’interesse del creditore senza minimamente essere interessata all’interesse di sopravvivenza del paese debitore. Per dirla in maniera ancora più brutale, nei casi descritti dei paesi in via di sviluppo, era tutelato l’interesse del denaro e per niente quello del lavoro e della sopravvivenza delle popolazioni. Così è stato nei casi dell’Indonesia e dei paesi del sud est asiatico negli anni ’90 e di quelli africani. Questa mentalità del FMI, fortemente criticata non da leader politici populisti e irresponsabili ma da moltissimi premi Nobel dell’economia, da centri di studi internazionali e dall’intero universo dalle strutture «no profit» religiose e laiche, sembra sia stata assunta dal consiglio europeo come la nuova bibbia da osservare. E il rischio è che ai fallimenti pluriennali del FMI si aggiungano quelli dell’Europa comunitaria la cui antica saggezza e la plurisecolare esperienza coloniale di molti paesi membri dovrebbe far sperare in una più lucida strategia. Onorare i propri debiti è un asse portante della convivenza tra Stati ed in particolare tra Stati come quelli dell’eurozona che hanno deciso di avere anche un’unica moneta ma spingere sino a portare una società nazionale oltre il limite del non ritorno non è una scelta lungimirante. E non lo è tanto più quanto gli stessi cultori e custodi della nuova moralità rigorista salvano poi dal fallimento molte banche private come è accaduto in Germania, Gran Bretagna, Olanda e Francia. Tre di questi paesi, nel mentre lesinavano 150 miliardi di euro alla Grecia, davano alle proprie banche oltre 1000 miliardi negli ultimi due anni. Non vorremmo essere fraintesi. Non siamo sulla linea del lassismo delle politiche di bilancio ma siamo altresì convinti che il recupero di una società nazionale, tradita da uno dei suoi governi, a nuovi comportamenti virtuosi attraverso politiche di sacrifici è possibile sempre quando quel paese non si disintegra socialmente e politicamente sotto il peso di rinunce insopportabili. Aleggia, insomma, un falso moralismo che tenta di colpire con forza oltre ogni misura politiche di bilancio lassiste ma chiude, poi, gli occhi dinanzi alla cause profonde che hanno generato la voracità del capitalismo finanziario responsabile, a sua volta, della messa in ginocchio dell’economia reale rendendo insopportabile quel debito sovrano che sino a ieri era gestibile e che in alcuni casi, come per l’appunto quello della Grecia, era stato addirittura agevolato nella sua crescita da grandi banche d’affari (nel caso specifico la Goldman Sachs). Se tanto mi dà tanto la nuova moralità dovrebbe anche bandire da qualunque attività nei mercati europei quelle banche d’affari che hanno aiutato i governi a falsificare i propri bilanci. E invece più aumentano i casi di dissesti finanziari e più gli uomini di queste banche d’affari, spesso complici degli stessi dissesti, assumono ruoli pubblici determinanti nell’economia di grandi paesi (Paulson, Rubin, Draghi, Monti per citare solo i maggiori). In qualche caso portando al fallimento alcune grandi banche come è avvenuto con la Lehman Brothers che il segretario del tesoro americano Henry Paulson, già presidente della Goldman Sachs, non ha voluto salvare. Si sta giocando con il fuoco e si sta perdendo lucidità e quando i popoli verranno messi con le spalle al muro i protagonisti di questo sciocco liberismo rigorista sarà travolto da uno tsunami popolare che ci riporterà indietro nel tempo sul terreno economico e su quello democratico.