Sì al nuovo patto di bilancio Ue Londra e Praga non aderiscono

Il nuovo Patto di bilancio è stato concordato tra 25 paesi Ue: oltre la Gran Bretagna, che si è tirata fuori dall'inizio, a sorpresa la Repubblica ceca ha dichiarato di non essere in grado di dare l'Ok sul testo, precisando però che non è la posizione definitiva. David Cameron non cede, ma stavolta evita il braccio di ferro con l'Europa di Merkozy. Londra resta fuori dal "patto di bilancio", quel trattato che dovrebbe rinforzare l'impegno politico a rispettare le regole di bilancio nell'eurozona. Ma intanto cerca di ricucire lo strappo con l'Ue: Cameron partecipa al vertice straordinario, il primo del 2012, e se pure conferma il "no" che a dicembre ha fatto scattare la corsa al 'fiscal compact', l'inquilino di Downing Street firma il documento per rilanciare la crescita e il lavoro nella Ue. Sul tema dello sviluppo Cameron è arrivato a Bruxelles dando la sua ricetta: «Servono seri sforzi per la deregulation, la crescita e il lavoro». Ed evidentemente ha ritenuto di essere ascoltato quando ha approvato le sette pagine del documento che - tra l'altro - lancia i programmi nazionali per combattere la disoccupazione e completare il mercato unico. Cameron ha anche accettato il passaggio in cui è scritto che «i supervisori nazionali dovranno assicurare che le banche applichino rigorosamente la legislazione europea che limita i bonus bancari». A parole ha invece mantenuto il "no" al fiscal compact. Ma se da una parte ha ribadito che il Regno Unito «ha serie preoccupazioni legali» sull'uso delle istituzioni europee nell'ambito di un trattato intergovernativo esterno al Trattato di Lisbona (agitando lo spettro di ricorsi contro i firmatari del "fiscal compact"), dall'altra ha scelto di non porre veti espliciti. «Ci riserviamo di valutare le posizioni», hanno detto fonti britanniche in Consiglio, aggiungendo che la Gran Bretagna «per ora» non ha intenzione di passare all'azione. Un atteggiamento, quello del premier britannico, che ha suscitato la reazione dei laburisti. Il ministro degli Esteri ombra, Douglas Alexander, ha detto alla Bbc che oggi il governo «è stato costretto ad ammettere che l'accordo sul tavolo non comporta impegni da parte del Regno Unito». «Questo - ha aggiunto Alexander - rende ancor più incomprensibile la decisione di abbandonare il tavolo presa da Cameron un mese fa».   LA SODDISFAZIONE DI MONTI L'Italia ha evitato brutte sorprese sul debito nel Patto europeo per una maggiore disciplina di bilancio e ha incassato un successo diplomatico sul fronte della crescita, con i partner Ue determinati a delineare, entro marzo, piani concreti per rilanciare il Pil e l'occupazione. La soddisfazione del presidente del Consiglio traspare dal sorriso del Professore in quella che è diventata l'immagine simbolo del vertice: l'ingresso del premier italiano a fianco di Angela Merkel e Nicolas Sarkozy nella sala del Consiglio europeo, al termine della trilaterale che ha sancito il nuovo acronimo già in voga fra i giornalisti del summit: 'Merkontì, al posto dell'ormai superato "Merkozy". Una chiara rappresentazione del fatto che ormai, almeno per la stampa europea, a guidare l'Europa sono Berlino e Roma, con Parigi che arranca a causa della zavorra elettorale. In realtà l'incontro a tre è quasi una formalità, in vista di un appuntamento più approfondito a febbraio a Roma. Meno di mezz'ora insieme per discutere sommariamente di Fiscal Compact (il patto di bilancio secondo la definizione coniata da Mario Draghi) e crescita. L'impressione che Monti trae dal breve incontro è più che positiva. Sul primo fronte, quello del nuovo trattato, il premier già nel primo pomeriggio è convinto che un'intesa - nonostante i paletti della Polonia - possa essere raggiunta. Lo stesso Monti lavora affinchè ciò sia possibile, attraverso un compromesso che consenta geometrie variabile: per le questioni strategiche, anche i Paesi che non hanno adottato la moneta unica dovrebbero essere chiamati al tavolo, fermo restando le differenze fra chi non vuole entrare (Gran Bratagna) e chi non può ancora farlo per difficoltà interne o economiche (Polonia o Danimarca). Quanto ai contenuti, la tattica del "catenaccio" adottata dall'Italia (e che ha visto un gran lavoro diplomatico di Enzo Moavero) ha dato i suoi frutti: Roma ha evitato che nella stretta sul rigore ci fossero misure troppo stringenti sul debito, ottenendo l'inserimento di quei «fattori rilevanti» (già previsti nella normativa comunitaria, con il "Six Pack") che attenuano l'impegno ad un rientro di un ventesimo per i Paesi con un debito sopra il 60%. Anche sul fronte della crescita l'Italia incassa quanto aveva chiesto: non solo una dichiarazione di intenti, ma anche l'impegno a tradurre le parole in piani concreti entro il vertice di marzo. E soprattutto il principio che per ogni Paese ci saranno delle «linee guida» sulle politiche economiche e per l'occupazione. Un passaggio che Monti ritiene cruciale, non solo in chiave esterna (perchè costringerà alcuni Paesi riottosi, come la Germania sul mercato interno, a fare di più) ma anche interna (visto faciliterà il compito del governo su alcune riforme strutturali, a cominciare dal lavoro). Fin qui le buone notizie. Perchè la giornata ha riservato anche qualche amara sorpresa. Moody's prevede che la manovra di dicembre ridurrà i redditi e farà aumentare l'occupazione. E al di là della diminuita influenza delle agenzie di rating sui mercati, anche a palazzo Chigi riconoscono che serve un colpo d'ali dell'Europa sulla crescita, anche perchè il Fiscal Compact non basta a superare la crisi dei debiti sovrani. Il secondo round della partita europea, quello a cui l'Italia tiene di più, si giocherà dunque non solo sul «cresci-Europa» (come l'hanno scherzosamente ribattezzato nell'entourage del premier), ma soprattutto sui firewall, le barriere "anti-spread". L'auspicio di Monti è che la Germania, incassato il patto di bilancio, abbia un atteggiamento più morbido sia sulle munizioni da destinare al fondo salva-Stati, sia sul ruolo della Bce. Magari acconsentendo a trasformare l'Esm in una banca, così da prendere in prestito denaro da Francoforte.