Monti salvi imprese e famiglie
Aspettiamo con ansia il decreto sulla semplificazione burocratica che dovrebbe essere varato oggi dal governo. Dopo la batosta del primo decreto Monti sul reddito delle famiglie e sull'economia italiana nel suo complesso e dopo quello sulle liberalizzazioni (in parte un manifesto, in parte contraddittorio) la speranza è che si vada nella direzione giusta. Per questo giudizio possiamo essere anche male interpretati ma, a scanso di equivoci, diciamo subito che il governo Monti è l'unico possibile e i suoi meriti sono principalmente quelli sul piano internazionale mentre ci appare ancora poco chiara la sua visione di politica economica. Non tutti hanno il coraggio di dire che la recessione italiana viaggia ad oggi tra il meno 3 -4 % del pil con ulteriore perdita di posti di lavoro e che la diseguaglianza sociale ha raggiunto soglie allarmanti oltre le quali c'è il ribellismo urbano e delle campagne. La vicenda siciliana è, infatti, al di là delle violenze intollerabili, una spia di un disagio che cresce come un fiume carsico e ben presto emergerà con tutta la sua forza. Sia chiaro, il governo Monti è in carica da soli due mesi ed ha ereditato un'economia già in recessione, una finanza pubblica dissestata dopo 20 anni di cure della seconda repubblica come ha dimostrato per tabulas Oscar Giannino e uno sfarinamento istituzionale che rende ancora più difficile la governabilità. Detto questo, però, va anche ricordato che nelle dichiarazioni programmatiche del governo la crescita è rimasta più una speranza che un obiettivo corredato degli strumenti necessari per essere raggiunto. Alla stessa maniera il silenzio sulla partecipazione della grande ricchezza italiana (il 10% degli italiani controlla il 45% della ricchezza italiana) allo sforzo per un "abbattimento" secco di una quota di debito pubblico è inquietante nel mentre il suo stock continua imperterrito ad aumentare mettendo sempre più in ginocchio banche, famiglie e l'intero paese. Piaccia o no, infatti, sinora si è chiesto di tutto e di più a famiglie deboli, a pensionati e a lavoratori con un reddito appena appena superiore alla sopravvivenza mentre nulla, o quasi nulla, si è chiesto a quegli italiani fortunati che hanno redditi e patrimoni importanti nonostante molti di loro si siano dichiarati disponibili convinti come sono che Stato e ricchezza o si salvano insieme o insieme periscono. Crescita e riduzione del debito, dunque, sono ancora obiettivi confusi nel mentre il parlamento è inondato di pagine e pagine di nuovi provvedimenti che il governo chiede di approvare a scatola chiusa. Sono mesi, purtroppo, che il parlamento non sa quel che approva o comunque non ha il tempo necessario per suggerire miglioramenti o cancellazioni di norme controproducenti. La crisi del parlamento, in realtà, è precedente allo stesso governo Monti, ed è la crisi di un paese, della sua governabilità e della sua credibilità. Basti pensare che nell'ultimo provvedimento vi sono solo 5,5 miliardi per pagare i debiti delle amministrazioni pubbliche verso i fornitori di beni e servizi, poco meno del 10 % del debito complessivo. C'è una tenaglia che rischia di essere mortale per le migliaia di imprese strette come sono da un sistema pubblico che non paga e da un sistema del credito che non eroga nuova finanza. È questa l'urgenza dannata, altro che taxi, farmacie, notai e quant'altri argomenti più culturali che politici. Ed è su questo terreno che non solo il governo ma anche i gruppi parlamentari devono darsi una mossa anche dettando al governo norme precise per affrontare quei nodi che strangolano famiglie e imprese. Il tempo si è consumato tutto e il governo ha una montagna da scalare. Per scalarla deve, però, sempre aver presente che l'ottimo è nemico del buono e se si attarda a disegnare riforme strutturali professoralmente perfette senza affrontare l'emergenza finanziaria dello Stato, delle imprese e delle famiglie, finirà per accorgersi che quando le riforme saranno approvate il paese sarà irrimediabilmente allo sfascio. È la lucidità dei tempi che ci sembra manchi ancora e mai come ora il tempo non è una variabile indipendente per uscire dalla crisi. L'italiano è un popolo che sa sacrificarsi, sa coltivare la speranza ma mai come ora non è più in condizioni di reggere. Il presidente Monti segua il consiglio di quanti gli parlano chiaro, affronti subito le emergenze e poi le riforme perché il contrario porterebbe il paese al massacro.