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Marcia indietro del governo sulla «legge Salini»

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Ritirato l'emendamento con cui si sarebbe favorito un ramo della famiglia di costruttori

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Cosìcome era stato infilato di soppiatto giovedì scorso, sempre nel massimo silenzio ieri è stato ritirato. Si tratta dell'emendamento a firma del sottosegretario alla Giustizia, Andrea Zoppini, che cambia le regole sul «computo delle azioni proprie» nelle deliberazioni societarie. La modifica inserita nel decreto che si occupa di crisi da sovraindebitamento e disciplina del processo civile, sembrava tagliata su misura per intervenire nella controversia sulla governance di uno dei principali Gruppi italiani, la Salini Costruzioni. Se l'emendamento fosse stato confermato, Zoppini avrebbe consegnato a un ramo della famiglia capitanata dal determinatissimo amministratore delegato Simonpietro, il controllo del Gruppo. La singolarità dell'intervento governativo è data dal fatto che, al momento, solo l'azienda edile romana (un colosso da oltre un miliardo di euro di ricavi) potrebbe beneficiare dell'emendamento. Non solo. La questione della governance della Salini è già oggetto di un lungo braccio di ferro a colpi di carte bollate e ricorsi in Tribunale tra i due rami della famiglia che si contendono la guida di questo big delle costruzioni. L'emendamento avrebbe sorpassato tutte le sedi legali con un'accelerazione dei tempi davvero provvidenziale per i beneficiari. A fine 2011 è scaduto il mandato dell'intero consiglio di amministrazione che dovrà essere rinnovato la prossima primavera. Ieri però c'è stato il colpo di scena. L'emendamento, come era apparso, così è scomparso e per i Salini si ricomincia daccapo. Per capire la posta in gioco bisogna addentrarsi nel labirinto della struttura societaria della Salini. La Salini Costruttori è divisa in tre quote. L'accomandita Salini Simonpietro, a sua volta divisa a metà tra Simonpietro e il figlio maggiore ha il 47%; la Sapar, holding di Franco e dei figli, ha il 43%; il restante 10% sono azioni proprie intestate alla Salini Costruttori. Secondo Pietro una quota di questo 10% spetterebbe a Simonpietro che così salirebbe al 52,2%. Ma Franco contesta questa interpretazione. Peraltro Simonpietro e Franco hanno stabilito che occorre una maggioranza qualificata del 60% per scelte di ordinaria e straordinaria amministrazione. Nel 2002 Pietro cambia lo statuto per poter procedere a maggioranza semplice. Da questo punto si scatena la guerra. L'emendamento stabiliva che «le deliberazioni assunte entro il 30 giugno 2012 dalle società che non fanno ricorso al mercato del capitale di rischio e che concernono l'alienazione di azioni proprie, detenute al 31 dicembre 2011, sono assunte dall'assemblea ordinaria senza computare tali azioni nel calcolo della maggioranza e della quota di capitale richiesta per l'approvazione della deliberazione. I soci hanno in ogni caso diritto di esercitare la prelazione in misura proporzionale alle partecipazioni sociali detenute». Questo vuol dire che il 10% di azioni proprie sarebbe stato distribuito in modo proporzionale alle partecipazioni in possesso dall'accomandita Simonpietro e dalla Sapar, portando la Simonpietro al 52%, ovvero alla maggioranza. Sciogliere il nodo della governance è decisivo in questo momento per il Gruppo che sta affrontando la delicata partita di Impregilo di cui ha oltre il 15% del capitale collocandosi in testa alla compagine azionaria. La Salini attende un incontro con i soci della holding di controllo Igli che dopo l'uscita dei Ligresti vede al comando la Argofin della famiglia Gavio e Atlantia della famiglia Benetton.

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