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Tasse, manovre e crisi, ecco i soldi per salvare il Paese

Il presidente del Consiglio Mario Monti

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Tasse, manovre e crisi hanno appena scalfito il patrimonio degli italiani. Quello accumulato in decenni di crescita economica, prima impetuosa, poi più lenta ora al lumicino. Il risparmio non è mai venuto meno anche nei momenti di difficoltà. E il tesoretto c'è ancora. Secondo Bankitalia, alla fine del 2010, il valore della ricchezza in mano ai cittadini era una cifra gigantesca, anche rispetto al debito pubblico a quota 1.900 miliardi di euro. Tra attività reali (terreni, case e pertinenze) e attività finanziarie (depositi, titoli e azioni) nelle casse dei cittadini c'erano circa 8.640 miliardi di euro. E nel primo semestre di quest'anno secondo le stime la tendenza era solo moderatamente in calo. Insomma, anche se non sembra, visto quanto accaduto nella seconda parte dell'anno con la crisi del debito sovrano nell'Ue, l'Italia resta una potenza fortemente patrimonializzata rispetto ad altri partner. Una buona fetta di risparmio è rappresentata da attività legate agli immobili. Il 62% del totale della ricchezza è infatti costituito da beni reali, pari a 5.925 miliardi di euro. Ma ben il 37,8%, ovvero 3.600 miliardi di euro, sono nelle mani degli italiani sotto forma di asset finanziari. I tecnici di Palazzo Koch sono riusciti a scendere nel dettaglio della composizione di questa parte più liquida di ricchezza. Così, alla fine del 2010, il 43,2% di questi 3600 miliardi era detenuto sotto forma di obbligazioni private, titoli esteri, prestiti alle cooperative, azioni e altre partecipazioni e quote di fondi comuni di investimento. Il contante, i depositi bancari e il risparmio postale erano il 30%. Le riserve tecniche di assicurazione, cioè le somme accantonate dalle assicurazioni e dai fondi pensione per future prestazioni in favore delle famiglie, ammontavano al 18,6%. Infine la quota investita direttamente dalle famiglie in titoli pubblici italiani. Una «cenerentola» pari a solo il 5% del totale. Quest'ultima ridotta di un punto percentuale rispetto all'anno precedente. Dati leggibili alla luce dell'attualità economica con una luce diversa rispetto al momento della pubblicazione del rapporto della Banca d'Italia. Gli italiani, almeno una buona parte di essi, hanno infatti trascurato l'investimento nei titoli di Stato. Un abbandono determinato da evidenti ragioni di mercato: per lungo tempo i rendimenti offerti dal ministero dell'Economia sono stati prossimi allo zero. Solo ora, anche in seguito al rialzo degli spread, hanno cominciato a dare una remunerazione più in linea con le aspettative dei piccoli investitori. Soldi e rendimenti ci sono. E sono le due condizioni indispensabili per lanciare un'operazione storica in grado di rimettere il debito pubblico nelle mani di chi ne usufruisce e di abbatterlo drasticamente. Le iniziative dei Btp day, giornate dedicate all'acquisto senza commissioni dei titoli di stato e l'istituzione di un canale telematico da parte dell'Economia per consentire ai privati di comprare su internet direttamente quote di debito, sono gli strumenti per riavvicinare gli italiani ai Bot e ai Btp. Sarebbe il segnale più forte alla speculazione che non potrebbe più lucrare così facilmente, così come fa ora, scambiando sulle piattaforme telematiche internazionali centinaia di miliardi di bond italiani determinandone il prezzo a suo piacimento. Manca solo un passaggio. Non secondario. Convincere quelle famiglie che hanno nei loro portafogli disponibilità finanziarie a investire nel Paese. Accettando il rischio di comprare debiti in cambio di una remunerazione adeguata e in nome del taglio del macigno che impedisce lo sviluppo. Difficile far digerire una prelievo forzoso su conti e depositi da convertire in titoli di Stato. Un atto di imperio troppo duro in un momento in cui il Paese sta ancora metabolizzando una manovra lacime e sangue. Il solo circolare di indiscrezioni su possibili sforbiciate sui conti nei mesi scorsi ha spinto molti, piccoli e grandi, a ritirare liquidi dalle banche. O anche peggio a motivare spostamenti di ricchezze nelle casse svizzere. Serve altro. Convincere chi può a rilevare debito offrendogli, oltre alle motivazioni ideali e tassi accettabili, anche la garanzia del rimborso. L'idea del fondo patrimoniale al quale conferire il patrimonio immobiliare del Paese può essere la via corretta. La sottoscrizione di titoli per 400 miliardi servirebbe a tagliare drasticamente il debito pubblico e portarlo al di sotto del 100% del Pil. I soldi raccolti potrebbero essere impegnati subito come taglia-debito. Nel fondo costituito a garanzia oltre ai pezzi di patrimonio immobiliare, da liquidare a prezzi di mercato, potrebbero essere inserite anche le quote delle aziende pubbliche in grado di erogare cedole e dividendi. Flussi da utilizzare per remunerare gli interessi ai possessori dei titoli salva Italia che otterrebbero gradualmente il rimborso del capitale a cessione dei beni avvenuta. Sono ipotesi di lavoro già sviluppate negli anni scorsi e già sul tavolo dei decisori politici. Lo strumento c'è, i soldi ci sono, basta la moral suasion su chi li ha. È arrivato il momento di agire. E di ricomprarsi l'Italia.

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