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I Bot vanno a ruba Attesa per l'asta Btp

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L'asta dei Bot di ieri assegnati a un tasso quasi dimezzato rispetto alla precedente emissione porta tranquillità nei corridoi del Tesoro. E assegna una porzione non indifferente di merito a Mario Draghi che, in vista di scadenze significative per il finanziamento del debito pubblico italiano, aveva preventivamente ben armato di liquidi le banche italiane: in cassa avevano 116 miliardi concessi dalla Banca Centrale Europea nell'asta di qualche giorno fa. Il 25% dei totali 489 miliardi iniettati nel credito europeo.   Insomma la liquidità ieri era l'ultimo dei problemi e non è difficile immaginare che da Via XX settembre sia partita una pressione, leggera, nei confronti delle prime cinque o sei banche nazionali, per spingere i risparmiatori a rinnovare i titoli in scadenza e assicurare la copertura della parte inoptata. Un appello andato a buon fine. La domanda è stata robusta, con oltre 15 miliardi chiesti dagli investitori contro i nove offerti dal Tesoro, e con il dimezzamento dei tassi riconosciuti. In media il 3,251% sui nove miliardi di euro di Bot semestrali: la metà del 6,504%, il record del premio concesso agli investitori per convincerli a comprare il mese scorso. Dopo mesi di cattive notizie è andata bene anche per i Ctz, collocati al 4,853% contro il 7,814% di un mese fa. Dati commentati con «soddisfazione» dal primo ministro, Mario Monti, nel corso del Consiglio dei ministri di ieri. Un ottimismo durato molto poco. Perché nel pomeriggio di ieri lo spread, il differenziale di rendimento tra i Btp italiani e il Bund tedesco, sceso in picchiata a 482 punti base è ripartito al rialzo fino a toccare i 515 punti. Tradotto significa che i buoni decennali dello Stato italiano rendono il 5,15%% in più rispetto all'omologo teutonico. A far cambiare d'umore gli investitori è stata la forte speculazione sulla moneta unica. Una conferma del fatto che lo spread non è strettamente collegato ai fattori di politica interna italiana ma risente dell'aria che si respira nelle sale cambi sparse nel pianeta. Complice il clima festivo, con gli scambi rarefatti, qualche raider ha ben pensato di provare a spingere verso il basso la quotazione dell'euro contro il dollaro. Non sono servite cifre enormi per tirare giù la divisa europea verso un valore non toccato da mesi: 1,30 dollari per acquistare un euro. Ci sono riusciti e, con poche resistenze opposte, lo stesso valore è subito repentinamente sceso verso la quotazione di 1,29 dollari per un euro. Una piccola vittoria per chi ha percepito nella divisione tra i partner Ue sulle soluzioni per la crisi la «frattura di sistema» sulla quale arricchirsi. L'obiettivo primario della speculazione resta, infatti, quello di massimizzare i guadagni e di fuggire dai rischi a velocità sostenuta. La pressione speculativa poi si autoalimenta. Così quando parte un attacco per deprezzare l'euro, la paura del suo crollo cresce, il possibile crac dell'Unione Monetaria diventa ipotesi plausibile, e gli investitori fuggono a gambe levate da ogni bene o asset denominato in euro. Ieri è questo fenomeno si è amplificato. Chi vuole un deprezzamento della moneta europea per rafforzare il valore del dollaro ha cominciato a vendere titoli di debito europeo. Una massa importante di bond è entrata in un mercato formato da tanta offerta e pochi acquirenti. Che per essere convinti a comprare hanno chiesto uno sconto sul valore del titolo. Così ad esempio se un bond vale 100 euro, per riuscire a venderlo lo si offre a 95 euro, o a 94 o a 93. Più basso è il prezzo di vendita, maggiore è il rendimento totale riconosciuto al compratore. E maggiore la forbice con il parametro di riferimento del mercato che resta il titolo di Berlino, in ultima analisi il famigerato spread. La fuga dai titoli europei ha dunque ribaltato i segnali arrivati dall'asta dei Bot. La colpa per una volta è da attribuire alla debolezza di Eurolandia più che alla manovra di Monti. Che comunque un risultato importante a casa lo ha portato. I Bot venduti ieri costeranno all'erario solo il 3,152% fino alla scadenza. Sono stati comprati sul cosiddetto mercato primario e cioè direttamente da chi li emette. Dunque per le casse dello Stato il costo del finanziamento resterà fisso. Poi se gli operatori che li hanno acquistati li vendessero a un prezzo più basso, sul mercato cosiddetto secondario, riconoscendo all'acquirente un tasso effettivo anche del 5 o 6% per i contribuenti italiani non cambierebbe molto. Il costo supplementare ricadrebbe solo sull'operatore che vende. Morale: gli spread possono anche andare a valori stellari sul mercato secondario. Lo Stato li deve piazzare a valori modesti come quelli di ieri. Gli speculatori a quel punto possono anche venderli a prezzi infinitesimali, e portare gli spread alle stelle, le perdite resterebbero sui loro bilanci. È una regola semplice che conferma come l'acquisto di titoli direttamente nelle aste da parte di soggetti come le banche, o della stessa Bce, sia la via giusta per contrastare la speculazione. Sempre che Frau Merkel si decida a togliere il veto.

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