Nel rapporto Censis la via oltre la crisi
«O amici, non questa musica». Se lo scorso anno il Censis fotografava lo stallo della società italiana, si direbbe che quest'anno il rapporto dell'istituto guidato da Giuseppe De Rita si incarichi di intonare il «la» della ripresa. Lo fa senza rinunciare a denunciare la fragilità del nostro paese, «isolato» ed «eterodiretto», deprecando l'astrazione dilagante in un dibattito pubblico che sembra nutrirsi ormai solo di gergo finanziario, stigmatizzando la vista corta di una politica che inanella manovre economiche che durano lo spazio di un giorno. Ma allo stesso tempo, il rapporto indica con chiarezza inusuale - di certo insolita nel panorama attuale - la via d'uscita dalla crisi. Una via che congiunge due estremi, o almeno apparenti tali: da un lato, la solidità ed essenzialità di una struttura fondamentale, originaria, della nostra società, da recuperare; dall'altro, la dinamicità e l'evoluzione di uno sviluppo di più largo respiro, che va promosso guardando lontano. La metafora-guida dello «scheletro contadino», che ha sostituito la «mucillagine» dello scorso anno, non basta da sola a rendere conto della direzione indicata dal Censis; non si tratta solo di tornare all'essenzialità e tenacia delle nostre radici, bisogna anche coltivare la complessità delle relazioni sociali, affrontare i processi di rappresentanza, avere il coraggio e la lungimiranza di guardare alla «lunga durata». Accanto allo spirito «vandeano», come lui stesso lo ha definito, dell'appello di De Rita si sente insomma una esortazione propulsiva, che fa tesoro dell'evoluzione sociale per spingere a una crescita in grado di portarci fuori dall'impasse. In questo senso, ad esempio, va intesa l'insistenza sullo sviluppo dei servizi: non ha senso, come ha osservato Giuseppe Roma durante la presentazione, che il primo settore per numero di occupati sia allo stesso tempo il più arretrato, a forte rischio di deterioramento; il minimo che si possa auspicare è una decisa sterzata verso la digitalizzazione e la semplificazione, già tante volte promesse, per migliorare qualità dei servizi e insieme efficienza e sostenibilità del lavoro che li produce. Perché non di solo manifatturiero, ha affermato Roma, vive l'Italia: chi interpretasse l'enfasi posta dal Censis sull'economia reale - tutt'altra cosa rispetto alla sovrastruttura finanziaria, che non genera sviluppo - come un semplice richiamo per tornare a uno scenario dominato da «brick and mortars», di nuovo, leggerebbe solo una parte del messaggio. Al contrario, il rapporto chiarisce che per rimettere in moto l'Italia bisogna puntare sia sugli aspetti «hard» - come la necessità di rafforzare il nostro export, allargandolo sia geograficamente che merceologicamente; o di mobilizzare i patrimoni privati, che non generano crescita - quanto a quelli «soft». Primo tra tutti, la formazione, poco professionalizzante e fuori centro rispetto al mercato del lavoro; poi l'articolazione sociale, le cui tensioni vanno portate alla luce; e ancora, lo sviluppo delle relazioni. L'attenzione prestata dal rapporto alle nuove reti relazionali affianca le tradizionali esperienze associative, comunitarie e conviviali all'esplosione dei social network: di nuovo passato e futuro insieme, per rafforzare un tessuto sociale ricco di potenzialità. Le potenzialità del digitale, ancora, vanno di pari passo con quelle delle sagre estive, o delle associazioni di volontariato, e devono essere comprese e sostenute allo stesso modo. Passato e futuro: se non sembrasse un ossimoro, lo si potrebbe chiamare «conservatorismo progressista». Accanto alle citazioni scelte da De Rita – Cicerone, San Tommaso, Levinas – non sfigurerebbero le parole dell'«Inno alla gioia», l'invito potente a cambiare musica, intonando un canto di riscossa. Una riscossa che non passa soltanto dalla riscoperta delle origini, del realismo e dell'umiltà del passato; ma anche dalla complessità delle relazioni e delle aggregazioni, dalla partecipazione politica, dai flussi di Facebook e Twitter, insomma dallo sguardo rivolto in avanti.