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Ecco i governi morti di spread

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Gli elettori dei paesi d'Occidente, culla della democrazia e della libertà parlamentare, possono riporre la loro scheda elettorale e la matita copiativa nel cassetto dei ricordi. A indire le elezioni, a fare i governi e a imporre nuovi premier non è più il meccanismo del contraddittorio tra le forze politiche. E i calendari istituzionali. No. Ora a dettare i tempi della politica è lo Spread, la differenza tra i rendimenti dei titoli di Stato, uno qualunque d'Europa, e il Bund, il bond emesso dal Tesoro tedesco e solo per il suo imprinting teutonico considerato la più affidabile obbligazione statale emesse nella zona dell'Euro. Così è andata nei paesi racchiusi nell'acronimo Pigs ovvero Portogallo, Irlanda, Grecia e Spagna. Al quale si è aggiunta purtroppo anche l'Italia. E non solo.   Dalla piccola Islanda alla Spagna del «socialismo» di Zapatero, fino alle dimissioni del Cavaliere sono stati sette finora gli esecutivi europei ad essere stati bocciati dalla crisi economica. E dal conseguente attacco della speculazione internazionale che più che preferire la destra o la sinistra ha in testa un solo obiettivo: massimizzare i profitti nelle fasi di debolezza politica. I governi abbattuti in parte ci hanno messo del loro. Hanno risposto con misure di austerità lacrime e sangue e per questo mal digerite dagli elettori. Hanno affrontato lo tsunami finanziario solo curando gli effetti della malattia e non le cause vere. Ovvero non puntando all'unica cosa che ancora manca nei paesi europei: la crescita economica, affossata da tagli. Per questo i leader sono stati falcidiati dai mercati globali e dallo spread. Il primo a rimetterci il posto è stato l'islandese Geir Hilmar Haarde premier dell'Islanda travolta dalla crisi: le tre principali banche furono nazionalizzate ma non si riuscì ad evitare la bancarotta. Haarde si dimise nel gennaio 2009, al suo posto salì la socialdemocratica Johanna Sigurdardottir. Nello stesso periodo - febbraio 2009 - la crisi ha fatto cadere il premier lettone Ivard Godmanis, travolto dalle più gravi proteste mai verificatesi nella breve storia della Repubblica baltica e sostituito dall'ex ministro delle Finanze Valdis Dombrovskis. Solo piccole cose rispetto a quello che sarebbe successo due anni dopo. Negli ultimi mesi sono stati 4 Paesi dell'eurozona Irlanda, Spagna, Portogallo e Grecia, a entrare nell'occhio del ciclone. A Dublino il premier del partito repubblicano «Fianna Fail» Brian Cowen non è riuscito ad arginare la crisi che nel 2009 ha condotto il Paese ad una recessione del 10%. Alla fine, un intervento dell'Unione Europea da 85 miliardi di euro ha messo fine alle speculazioni su un possibile default ma non ha salvato Cowen dalle elezioni anticipate dalle quali nel marzo scorso è uscito trionfante Enda Kenny. Tre mesi più tardi, e cioè a giugno quando la crisi dei debiti sovrani era solo un esercizio di stile sui tavoli degli economisti, è toccato al Portogallo affrontare il voto anticipato, anche in questo caso provocato e segnato dalla crisi economica del Paese. Il leader socialista Josè Socrates infatti si era dimesso in marzo di fronte all'impossibilità di attuare pienamente riforme lacrime sangue chieste dagli organismi finanziari internazionali per fermare la corsa degli spread. A giugno il voto anticipato, con la vittoria del centrodestra di Pedro Passos Coelho sullo stesso Socrates. Alla fine del luglio scorso è stato invece Josè Luis Zapatero, premier spagnolo, a indire le elezioni anticipate (per il 20 novembre) in una Spagna che lo accusava di aver tardato ad affrontare la crisi, trascinando il Paese sull'orlo del baratro. Venerdì scorso la Grecia si è giocata la carta di Lucas Papademos, ex governatore della Banca centrale greca, succeduto al dimissionario leader del Pasok George Papandreou, per tentare di risollevarsi attuando le misure chieste dall'Ue senza le quali le banche resterebbero prive di aiuti. Anche in questo caso il leader socialista ha dovuto passare la mano con la pistola alla tempia dei mercati che, sulla base del probabile default della finanza pubblica ellenica, ha svenduto i bond di Atene a prezzi stracciati, portando gli spread ampiamente sopra i 2 mila punti base. Lo stesso è accaduto a Silvio Berlusconi. Lo ha ammesso anche lui nel suo videomessaggio. Scelte obbligate, dettate dai mercati. La democrazia forse è già un residuato del vecchio millennio.

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