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Banche italiane contro la Ue

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Per il sistema del credito troppo salato il conto delle ricapitalizzazioni

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Dopogli appelli della scorsa settimana caduti nel vuoto e la scure dell'autorità europea Eba, a parlare è uno dei decani del sistema nazionale, il presidente del Consiglio di Sorveglianza di Intesa Sanpaolo Giovanni Bazoli, che avvisa Governo e parlamento a varare «riforme per abbattere il debito e rilanciare la crescita». In caso contrario la perdita di fiducia dei mercati sull'Italia che ha mandato gli spread alle stelle, causata anche «dall'incertezza politica» renderà insostenibile per le banche la situazione a causa degli alti costi della raccolta, avvitando l'economia e l'occupazione. Uno scenario che potrebbe portare lo Stato italiano, che non ha dovuto salvare le banche, a dover intervenire rimettendo le lancette dell'orologio a 30 anni fa al tempo delle Bin (banche di interesse nazionale) o aprire la strada ai grandi gruppi stranieri. Un vero j'accuse quello del banchiere bresciano, da sempre una delle voci più autorevoli del mondo bancario (peraltro non in conflitto di interessi visto che Intesa ha passato l'esame Eba), lanciato alla platea del convegno Abi sulle banche e l'Italia. In prima fila c'è il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano e il neo governatore della Banca d'Italia, Ignazio Visco. Il sistema bancario italiano spera così in un dialogo con l'Eba e la Vigilanza che porti, quando a novembre verrà comunicato il fabbisogno reale di ogni banca, ad «ammorbidire» i criteri per valutare il capitale al fine di raggiungere la soglia del 9% di Tier1. Una differenza che potrebbe far scendere di diversi miliardi il conto da 14,7 miliardi individuato dall'Eba. Di certo gli spazi e i margini legali per un ricorso delle banche italiane all'Eba non ci sono e la strada migliore sarebbe quella di lavorare sui criteri e considerare anche il periodo di adeguamento disponibile (fino a giugno 2012). Per il momento tuttavia i toni sono duri: il presidente dell'Acri Giuseppe Guzzetti si dice «arrabbiato per decisioni che penalizzano le italiane e fanno salvi gli interessi dei francesi» e Bazoli ricorda come il modello anglosassone di massimizzazione del profitto sia clamorosamente fallito. Più pragmatico l'ad di Unicredit, Ghizzoni, secondo cui la decisione Ue «è incomprensibile», le banche europee hanno in pancia molti più titoli «tossici» ma cambiare è tardi. Tutti però insistono anche sul dovere di portare avanti le riforme in casa propria. Sono «preoccupazioni gravi e urgenti» scandisce, in chiusura di convegno, al Capo dello Stato il presidente dell'Abi Giuseppe Mussari mentre Bazoli ricorda come «le scelte comportano sacrifici e perdite di rendite di posizione» ma «se non saranno compiute l'Italia rischierà di compromettere il proprio futuro di sviluppo nella libertà e nella democrazia».A temere per le banche sono anche i francesi. Il primo ministro della Francia, Fillon, presiederà domani a Matignon una riunione con il settore bancario del paese per discutere degli accordi raggiunti nel corso del vertice dell'eurogruppo mercoledì scorso. Alla riunione parteciperà anche il ministro dell'economia Baroin, il governatore della banca di Francia, Christian Noyer, e i numeri uno delle «principali banche» del paese. Nell'agenda della riunione che inizierà alle 11 del mattino, figurano «la situazione delle banche, la questione del rafforzamento dei fondi propri, e quella della ricapitalizzazione».

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