La missione impossibile di Mario Draghi

Mario Draghi entra oggi ufficialmente nel grattacielo della Banca Centrale Europea a Francoforte. Salirà al trentacinquesimo piano, quello dove si riunisce il comitato esecutivo della Bce. E da quel momento avrà una sola missione, per ora quasi impossibile. Salvare l'euro. Dovrà mettersi al lavoro subito. I mercati non aspettano. E soprattutto costruiscono le strategie di attacco speculativo sulle debolezze delle azioni di chi governa l'economia. Ieri è andata esattamente così. Sulle incertezze della politica Ue è iniziato l'assedio ai titoli di stato di Roma. Così forse il primo atto che aspetta il presidente, prima di preparare la riunione del comitato direttivo di giovedì, sarà sicuramente una riordino dell'area della comunicazione. Non è un dettaglio. Finora sono state gli sproloqui e gli annunci contraddittori dei politici e degli esponenti della Commissione Europea a spingere verso il baratro l'euro. Si è partiti con «Il fondo salva Stati basta per arginare la crisi» seguito da «No non basta». Poi: «Il suo ammontare è di 440 miliardi» smentito da «No è di mille miliardi ma non si sa chi li versa». La proverbiale riservatezza condita dall'autorevolezza del banchiere dovrebbe almeno dare un cambio di marcia alla politica degli annunci. Non solo. A lui ormai il mondo guarda come l'unico in grado di tirare fuori dal pantano una situazione che si sta avvitando. Non è un caso che due giorni fa un giornale autorevole come il New York Times lo abbia incoronato come salvatore dell'Eurozona. E non è un caso che a a pochi giorni dalla sua presa di comando il Fondo Monetario Internazionale sia sceso in campo con tutti i suoi strumenti per salvare Roma e Madrid. Il presidente Bce è ancora presidente del Financial Stability Board, nato nell'alveo del Fmi, per prevenire crisi sistemiche. La carta che Draghi può giocare è forse questa. Chiudere definitivamente l'era del denaro facile inaugurata dalla Fed di Alan Greenspan e puntare sulla crescita. In fondo il Fondo Monetario era nato proprio con questo scopo: utilizzare i fondi dei Paesi contributori per aiutare lo sviluppo di quelli più deboli. Il nuovo asse di Draghi potrebbe essere quindi con la francese Lagarde che condividerebbe la politica dello stop alle iniezioni di liquidità e il via alle riforme per stimolare Pil. Un cambio di strategia non indifferente. Di sicuro lui, come l'ex Governatore di Banca d'Italia, Ciampi, terrà sempre acceso sulla scrivania il grafico dello spread tra i titoli europei e il Bund. Unico vero parametro della credibilità finanziaria dell'Ue. Dalla sua esperienza potrebbero partire azioni preventive per tagliare le ali alla speculazione. Nell'asta di venerdì scorso che ha portato i Btp italiani sopra il 6% di rendimento sarebbe bastato che qualche operatore, stimolato dal Tesoro, comprasse titoli a certi prezzi per calmierare i rendimenti. Semplice e astuto, quando si rischia il crac globale. Non è stato fatto. E la speculazione ieri ha brindato. Tra i temi futuri anche il possibile taglio dei tassi di interesse e la decisione sugli acquisti dei titoli di Stato che hanno già raggiunto 174 miliardi di euro. Poi l'inflazione, stabile a ottobre al 3% nell'eurozona e ancora Cannes dove lo attendono i capi di stato del G20 che guardano a lui per capire come uscire dal tunnel. Sempre più stretto. La Grecia ha annunciato un referendum sul piano di salvataggio. Se vincessero i no sarebbe il disastro. Che non è più escluso.