Un "Pacchetto" per Bruxelles
Per ora è una provocazione del Financial Times Deutschland, l’edizione tedesca del quotidiano della City: ieri ha abbandonato l’euro riproponendo negli articoli le vecchie valute, marco, franco francese, corone, lire. Il titolo dell’editoriale, benché critico su questo scenario, non attribuisce più molte chance alla moneta unica: «Un punto di non ritorno». Il contenuto è poi al vetriolo: «I tentativi di salvataggio? Una colossale farsa»; «Germania e Francia sono in conflitto, quanto al vertice della Ue di fine settimana è stato anch’esso declassato». Per il FtD, «un tale caos alla vigilia è inconcepibile, non può semplicemente capitare. Parigi e Berlino si sono spinti troppo in là: la Merkel parla improvvisamente a voce stridula di un default della Grecia; Sarkozy ha rispolverato una vecchia idea, proponendola come nuova: trasformare in banca lo scudo salva-stati. Questa disputa è suicida». Fin qui l’iconoclastìa di marca britannica. Ma i giornali finanziari tedeschi, come l’Handelsblatt, scrivono invece di un progetto, o di una exit strategy, verso un euro di serie A e serie B. Nel primo confluirebbero la Germania ed i paesi nordici. Nel secondo – e questa è la novità – non più il tradizionale Club Med con Italia e Spagna, ma anche la Francia. Il dilemma che sta dilaniando le capitali europee, e che ha costretto a dichiarare preventivamente che dal summit di domani a Bruxelles «non c’è da aspettarsi molto», con conseguente coda a mercoledì, è esattamente questo. All’ordine del giorno c’è ancora la Grecia: pensate un po’. E la Merkel deve ottenere dal Bundestang il via libera all’aumento della dotazione di salvataggio. La realtà è che Sarkò ha visto oscurarsi la gioia per la bebè datagli da Carla Bruni dall’ombra di un downgrading di Moody’s. Uno potrebbe anche alzare le spalle, come hanno fatto Usa e Giappone: chi può credere che la Francia (come del resto l’Italia) non sia solvibile? Ma la torre di Babele costruita dall’Europa non consente deroghe: se Parigi perde la tripla A non può più figurare tra i garanti di ultima istanza né del fondo né della Bce. E dunque si materializza ciò di cui ha parlato Mario Sechi giovedì: il breakup della moneta unica. Il Financial Times ritiene che sarebbe un disastro economico anche per i tedeschi, oltre che una sconfitta politica. Ma nella business community di Francoforte e dintorni c’è chi non la pensa così. Il loro formidabile surplus commerciale risulterebbe ulteriormente rivalutato, consentendo a Berlino di approvvigionarsi di tutte le materie prime e dell’energia di cui ha bisogno. Le sue esportazioni ne soffrirebbero un po’: ma se guardiamo al livello dal quale l’euro è partito, lo 0,70 sul dollaro, e quello a cui è arrivato, il doppio, si può davvero dire che le aziende teutoniche ne abbiano sofferto? Infine, la Germania e le sue banche diverrebbero la Mecca di tutti i capitali bisognosi di stabilità, a cominciare da quelli russi, cinesi e arabi. Il tutto, oggi, vale molto più di un seggio nel Consiglio di sicurezza dell’Onu. Del resto giovedì si è assistito ad una prova tecnica di breakup: i bond di tutti i paesi, Germania esclusa, hanno subito vendite massicce. Se i Btp italiani tra prezzo e cedola hanno pagato un rendimento di oltre il 6 per cento, gli Oat francesi sono saliti al 3,5, record dal 1992. Par capirci: dove stavamo noi un anno fa. Che scenario aprirebbe per l’Italia finire in serie B? Gli ottimisti pensano che la svalutazione farebbe bene all’export; ma la finanza globalizzata e le nuove potenze stanno modificando questa dottrina. Del resto anche le nostre ricchezze, immobiliari e finanziarie, si svaluterebbero di conseguenza. È in questo quadro che piovono i diktat a presentare al più presto il mitico pacchetto-sviluppo. Il governo traccheggia: anche se Tremonti si ostina a dire il contrario, le riforme a costo zero non esistono. Mentre le ricette sono quasi tutte presenti nella famosa lettera della Bce: dalla vendita degli asset finanziari degli enti locali, in Puglia come a Roma, per coprire i debiti e liberare noi contribuenti dalle super-addizionali, alle infrastrutture a cui l’Europa ha appena sbloccato i fondi, a condizione che vengano spesi. Fino a far valere – checché ne dicano Marcegaglia e Cgil – la flessibilità dal lavoro in uscita, magari riducendo l’Irap alle aziende che stabilizzino i precari. Forse come per Bankitalia il Cavaliere riuscirà a trovare la soluzione in extremis. Ma deve sbrigarsi, se l’Italia finisce di sotto il prezzo sarà salato. Su questo, e non sui balletti politici, si gioca anche il futuro dei moderati: nel Pdl pare l’abbiano capito.