Aria di downgrading su Parigi e Berlino
o.Soprattutto per Parigi che presenta conti con un rapporto deficit/pil vicino al 4,5% e con banche, probabilmente da ricapitalizzare, esposte per miliardi di euro verso la Grecia. Molto più degli istituti italiani. Anche Berlino però non scherza. I suoi più importanti attori creditizi vacillano sotto il peso di oltre 40 miliardi di euro di bond greci. E l'economia reale, che sembrava imbattibile e additata a modello di riferimento, ha già risentito della recessione con una frenata brusca delle stime del pil passate dal 2,9% a un misero 0,8%. Una delle cause resta chiaramente l'euro forte. Troppo, per non strozzare sul nascere gli impulsi di acquisto dei paesi che possono spendere ma che sono costretti a comprare moneta unica a tassi di cambio così elevati da rendere troppo costose le merci teutoniche. Insomma la paura della superinflazione stile repubblica di Weimar, che spinge i tedeschi a fare pressing sulla Bce per mantenere alto il valore dell'euro sulla falsariga dell'anziano marco, si sta tramutando nel peggiore dei mali per i costruttori della corazzata Bismarck. Che non a caso affondò pur essendo l'orgoglio dell'industria bellica tedesca. Ora però il prezzo della rigidità sta venendo al pettine. E anche nella patria germanica qualcuno comincia a dubitare dell'esenzione a vita dal downgrading. A paventare quello che è in parte già scritto nei fatti economici delle ultime settimane è una prestigiosa testata economica tedesca la Handesblatt che ieri ha scritto senza mezzi termini che la Francia e perfino la Germania rischiano di perdere il rating a tripla A. Un giudizio supportato dalle previsioni di diversi economisti di banche d'affari. Parallelamente il quotidiano finanziario ha riferito che Fitch sarebbe sul punto di declassare sette tra le maggiori banche di investimenti, tra cui la tedesca Deutsche Bank. Insomma spira un'aria mefitica sulla Cancelleria di Berlino. Il giornale ha spiegato che il possibile declassamento dei titoli di Stato di Francia e Germania - entrambe hanno il rating più elevato, che consente di pagare tassi di interessi sul ebito più bassi - secondo gli economisti sentiti deriverebbe dai costi che i due paesi devono sopportare per finanziare i piani di aiuto ai paesi sotto tensione (Grecia, Irlanda e Portogallo). Osservazione pertinente. Solo che ieri la Cancelliera Merkel, in ossequio al principio che se su una cosa è semplice è più semplice complicarla, si è dimostrata una pefetta autolesionista. In un momento nel quale l'unica merce rara sui mercati è la fiducia e la stabilità, l'effetto delle parole del suo portavoce hanno mandato a picco le borse europee. I listini hanno aperto in rialzo con le migliori intenzioni ma già a metà seduta hanno azzerato i guadagni per poi scivolare in ribasso con Wall Street. Il portavoce della cancelliera tedesca non ha trovato di meglio che raffreddare le aspettative degli investitori che contavano su una soluzione a breve della crisi del debito dell'euro zona con la messa in sicurezza delle banche. Il passaggio decisivo, secondo le attese dei mercati, doveva essere il 23 ottobre, quando sarà presentato il pacchetto anticrisi al Consiglio europeo. «I sogni riaffiorati nei confronti del pacchetto ancora una volta non saranno realizzati», ha sentenziato il portavoce della Merkel. «Si tratta di un lavoro lungo che forse avrà termine il prossimo anno o ancora più in là», ha aggiunto. Ancora una volta rinvio, dunque, e fallimento di incontri, vertici ufficiali e informali, consultazioni a due o a ventisette. La benzina migliore insomma per le vendite in Borsa che hanno colpito soprattutto auto e, in misura minore, le banche. Le prime hanno pesato soprattutto su Francoforte, che dopo aver perso oltre 2% ha concluso in calo dell'1,8% mentre Milano ha indossato ancora una volta la maglia nera (-2,3%).