Il destino dell'Europa in mano alla Slovacchia
Il destino dell'Eurozona resta appeso ad uno dei suoi più piccoli Paesi: dopo il voto negativo della Slovacchia sul potenziamento del fondo salva-Stati Efsf, l'Unione europea fa la voce grossa e accusa il Paese di «miopia politica», invitandolo a tornare sui suoi passi al più presto e a votare di nuovo per consentire all'unica arma contro la crisi dei debiti di entrare finalmente in funzione. «Restiamo fiduciosi che le autorità slovacche e il Parlamento siano pienamente consapevoli dell'importanza critica di un Efsf più efficace e più flessibile per preservare la stabilità della zona euro», hanno detto le massime autorità dell'Unione, il presidente della Commissione Josè Barroso e quello del Consiglio Herman van Rompuy. «È nell'interesse di tutti gli Stati dell'euro e della nostra prosperità, compresa quella della Slovacchia», spiegano i due presidenti, sottolineando il ruolo cruciale di una moneta stabile «per favorire crescita e occupazione». Barroso e Van Rompuy chiedono quindi a «tutti i partiti» del Parlamento slovacco di superare una «visione politica a breve termine», e sfruttare la prossima occasione per assicurare una rapida approvazione dell'accordo. Anche dalla Germania arriva un messaggio, che suona come un richiamo, a Bratislava: il portavoce del governo fa sapere che la cancelliera Angela Merkel è «fiduciosa e ottimista» che entro il Consiglio europeo del 23 ottobre tutto sarà risolto. E gli appelli hanno già avuto i loro effetti: i partiti della maggioranza avrebbero raggiunto un'intesa con i socialdemocratici all'opposizione per votare insieme il sì all'Efsf, in modo da garantire la maggioranza in Parlamento. E il voto dovrebbe ripetersi già oggi. La Slovacchia contribuisce al fondo con garanzie per 4,4 miliardi di euro, pari all'1% del totale. Ma la suspance a cui la Slovacchia costringe tutta l'Unione europea ha sollevato la collera di Bruxelles, che fin dal 21 luglio, data dell'accordo sul fondo, ha invitato tutti i Paesi a ratificarlo con la massima urgenza. Non solo. Dimostra la mancanza di una governance politica, vero tallone d'Achille dell'Eurozona. «Questo episodio ci indica tutti i limiti del voto all'unanimità», ha detto un portavoce della Commissione, mentre il presidente Barroso si spinge ancora più in là. «La velocità della Ue non deve essere quella dei suoi Paesi più lenti ma quella dei più rapidi», e per questo serve un ricorso maggiore alla «cooperazione rafforzata», ha detto parlando al Parlamento europeo, appoggiando la volontà di molti Stati europei di sganciarsi da quelli più problematici e di procedere da soli, votando a maggioranza. Mentre la Slovacchia prende tempo, la Grecia attende la sesta tranche di aiuti. Serve «un'azione decisa che fughi ogni dubbio sulla sostenibilità delle finanze» ha detto Barroso, precisando che serve un ripensamento del piano salva-Grecia che deve essere basato su un «equilibrato» coinvolgimento del settore privato. «Il mancato conferimento di fondi necessari significherebbe un immediato blocco di salari e pensioni, ma anche altre cose che probabilmente porterebbero a situazioni incontrollabili» ha detto il primo ministro greco George Papandreou che ha accolto con favore il completamento da parte della cosiddetta Troika (Fmi, Ue e Bce) della verifica delle riforme adottate dalla Grecia per ricevere la prossima tranche del prestito di salvataggio.