La svendita della Grecia
Il parlamento tedesco ha approvato l’aumento del fondo salva stati. Sospiro di sollievo, champagne e borse in discreto rialzo. Neppure il responso del Bundestag è stato sul filo come ce lo avevano presentato; in Grecia torna la troika europea ed è probabile che anche la sospirata sesta tranche del prestito ad Atene andrà a buon fine. Questa è però l’ufficialità, fatta di (giusto) rigore teutonico e governi che vivono in regime di commissariamento, o sotto stretta tutela come dimostra anche la lettera inviata all’Italia dalla Bce. Dietro le cancellerie si muove infatti, come sempre, il business. Ed allora ecco spuntare un dossier (ne ha pubblicato stralci il Sole 24 Ore) elaborato per il governo tedesco dallo studio di consulenza internazionale Roland Berger: lo stesso che nei primi anni Novanta lavorò alla riconversione dell’ex Germania Est. Allora l’agenzia statale creata per occuparsene fu la Treuhandanstalt, che ingaggiò nel top management anche l’italiano Franco Tatò, ed il 31 dicembre 1994 concluse i lavori in perfetto orario. Operazione che ebbe tuttavia un costo sia per i tedeschi sia per l’Europa: l’università di Berlino lo ha stimato in 1.500 miliardi di euro dell’epoca, molto più del doppio in valuta corrente della dotazione (780 miliardi) del fondo salva stati, dopo l’aumento. Adesso l’obiettivo è una impressionante serie di privatizzazioni: dalle banche ai porti del Pireo e di Salonicco, alle aziende telefoniche, elettriche e idriche, l’aeroporto di Atene, terreni e altri asset. C’è perfino la Hellenic football pronostics organization, il totocalcio ellenico, una piccola potenza che gestisce lotto, bingo e varie attività finanziarie. Tutto questo dovrebbe confluire in un fondo, di diritto lussemburghese of course, dietro pagamento alla Grecia di 125 miliardi di euro da prelevare dal fondo salva stati. In 15 anni il fondo privatizzerà il privatizzabile, tenendosi il guadagno e girando alle banche d’affari le relative e pingui commissioni. Ciò che non potrà essere collocato verrà ridato ai greci, dietro restituzione della quota parte di anticipo. Con i soldi immediatamente ottenibili Atene potrà nel frattempo ridurre il proprio debito pubblico fino all’88 per cento del Pil, un livello nettamente migliore dell’Italia, e quindi tornare sul mercato dei capitali e rimettere in moto il Paese. Naturalmente le autorità elleniche potrebbero anche, come spesso hanno fatto, spendere i soldi in gare di sirtaki e distribuzione di pita gyros. Questioni loro. Ciò che invece sono affari anche nostri è il conquibus del progetto, che appunto profuma di business lontano un miglio. Intanto non si sa se quella di Atene sarà un’adesione volontaria o una sorta di esproprio: c’è da propendere per il secondo. Del fondo salva stati, però, l’Italia è terza azionista, dietro Germania e Francia, con il 18 per cento pari a 150 miliardi. In nostro dividendo da ciò che si profila come il vero “soccorso” alla Grecia, dovrebbe essere di conseguenza. Anche perché, esattamente come per i tedeschi, si tratta di denaro dei contribuenti. Qualcosa, chissà perché, ci bisbiglia che alla fine ci troveremo a raccogliere le briciole. In fatto di privatizzazioni ci facciamo sempre fregare: basta ricordare quelle di Romano Prodi. Le nostre banche sono per ora fuori dai grandi giri. Ed il governo è distratto da altro: Bossi, Tremonti, le procure. Mentre i giochi si fanno adesso: la conferenza di Yalta fu nel febbraio ’45, due anni e mezzo prima della resa del Giappone.