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Prove tecniche di crac dell'Euro

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Marcegaglia dà lezioni anticrisi

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Ci siamo. Sono partite le prove tecniche di smembramento dell'Euro. E, sorpresa, ad aprire le danze di un'Europa a due velocità è il Lussemburgo. La commissaria Ue lussemburghese Viviane Reding ieri ha infatti proposto che gli Stati dell'Eurozona con rating tripla A (Francia, Germania, Lussemburgo, Austria, Olanda e Finlandia), «mettano in comune i loro mercati obbligazionari». Mossa che costituirebbe «una roccia nella tempesta».  Mossa che costituirebbe «una roccia nella tempesta», ha indicato la commissaria Ue in una intervista alla Hannoversche Allgemeine Zeitung. Per la Reding in questo modo si verrebbe a creare «un mercato di grandi dimensioni nel cuore dell'Europa, un punto di riferimento con forte liquidità e solvibilità». A differenza di un vero eurobond che coinvolga tutti i 17 paesi dell'euro, questo tipo di obbligazioni non richiederebbe la riforma del Trattato sull'Unione europea, osserva la Commissaria. Tuttavia la Germania, uno dei paesi più ostili all'ipotesi di eurobond, si è affrettata a respingere la proposta al mittente. La posizione di Berlino «non è affatto cambiata», ha replicato un portavoce del ministero delle Finanze tedesco. Di fatto, però, quella della Reding è la prima ipotesi quasi ufficiale per varare una zona euro di serie B e una di serie A. Dove all'interno di quest'ultima prenderebbero vita i cosiddetti eurobond. La portavoce della Commissione ha inoltre sottolineato che questa idea emerge nel contesto delle opzioni che saranno discusse. Quindi l'opzione esiste. Una magra consolazione per quelli che da anni (non mesi) stanno urlando nel deserto o su Internet che gli anziani e parsimoniosi tedeschi non avrebbero potuto convivere sotto lo stesso ombrello dell'euro con i più giovani, divoratori di carte di credito e spensierati spendaccioni irlandesi, greci e spagnoli. Ora che il tabù dell'euro 1 - euro2 è stato infranto, c'è da sperare in uno smembramento dell'euro ordinato e ragionato piuttosto che una fuga in ordine sparso. Nel secondo caso gli effetti sarebbero disastrosi, come si legge in un report diffuso ieri sulle strategie globali dagli analisti del Credit Suisse. La banca svizzera è convinta che le future valute dei Paesi periferici (Portogallo, Spagna, Irlanda, Grecia, Italia esclusa) si svaluterebbero di circa il 50%, spingendo i debiti in mano agli altri Paesi esteri al 200-250% del Pil per i Paesi periferici e creando un calo del 40% dei crediti statali e privati. Le perdite delle principali banche europee si aggirerebbero intorno ai 300 miliardi di euro, di quelle periferiche, escluse quelle italiane, intorno ai 630 miliardi e la Banca centrale europea avrebbe un buco di 150 miliardi. I debiti esteri della banche dell'Europa periferica salirebbero di circa 800 miliardi. Storicamente, nei default disordinati, il Pil crolla del 9% e le sofferenze aumentano del 22%. Il forex team di Credit Suisse vede inoltre probabili questi tre scenari: un congelamento dei depositi, un nuovo forte marco tedesco supervalutato del 40% e una «guerra commerciale». L'utile per azione potrebbe a questo punto crollare del 40%, l'indice S&P 500 potrebbe andare a 750 punti e le banche europee potrebbero perdere ancora un altro 40%. I grandi esportatori europei potrebbero soffrire, mentre, al contrario, i piccoli potrebbero avvantaggiarsi. Dopo aver prospettato questo scenario apocalittico, Credit Suisse rassicura dicendo che «una circostanza del genere ha solo il 10% di possibilità di verificarsi». I debiti e i disavanzi pubblici europei sono inferiori rispetto a quelli del Regno Unito e degli Stati Uniti. Inoltre converrebbe sempre salvare i Paesi periferici dell'Area, perché il costo del loro salvataggio sarebbe comunque più conveniente per l'Europa rispetto al loro default. Il prezzo da pagare per l'uscita della Grecia infatti sarebbe il 10-20% del Pil, mentre un default di Italia e Spagna non è nemmeno preso in considerazione dalla banca elvetica. Gli analisti credono, infatti, che il rischio maggiore sia rappresentato non tanto dal fallimento improbabile dell'Italia, quanto da una sua volontaria uscita dall'euro. Le soluzioni, quindi, per risolvere razionalmente la crisi dell'Area euro, prospettate da Credit Suisse, sono varie. Gli Eurobond, per esempio, potrebbero funzionare, ma ci vuole troppo tempo per mettere d'accordo i Governi. Oppure potrebbe essere utile trasformare l'Efsf, il fondo salva Stati, in una banca, ma sarebbe necessaria l'approvazione parlamentare degli Stati. Ma la migliore tra le soluzioni è quella di aumentare la disponibilità dell'Efsf a 900 miliardi di euro, di cui 400 utilizzati strutturalmente, 300 per il riacquisto del debito a prezzi di mercato e il resto messo in una banca dell'Efsf utilizzata per l'acquisto di bond periferici. Infine parte della soluzione dovrebbe essere: un più soft quantitative easing, cioè meno denaro in circolazione, e un euro più debole.

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