L'Europa dichiara guerra all'America
Grazie facciamo da soli. La Germania risponde per le rime agli Stati Uniti che accusano l'Europa di non muoversi con misure straordinarie per non far saltare il banco dell'euro. Uno scontro al calor bianco che parte dalla strigliata arrivata da Washington dal duo Barack Obama e dal suo ministro del Tesoro Timothy Geithner che ha chiesto un aumento delle risorse messe nel fondo salva Stati, domani al vaglio del Parlamento tedesco. Una richiesta che il presidente dell'Eurogruppo Jean-Claude Juncker e il ministro delle finanze tedesco Wolfgang Schaeuble hanno rinviato al mittente. Non se ne parla proprio di inondare di altra liquidità un mercato che sulle attese di nuova carta fa accendere il turbo alla speculazione. Una spaccatura netta con la politica che gli Usa perseguono dall'epoca del presidente Greenspan alla guida della Fed, la banca centrale americana, e che secondo eminenti economisti ha posto le basi per la crisi dei mutui sub-prime e il crollo della Lehman Brothers. Meglio insistere sul rigore e l'austerity. O comunque limitare l'impegno monetario per stimolare i paesi Ue non in linea con la disciplina fiscale a comportarsi in maniera più retta. Insomma se c'è qualcuno che ha esportato la crisi finanziaria nel mondo sono gli Usa e non l'Europa come hanno velatamente fatto capire Obama e Geithner. Così i toni concilianti del portavoce di Olli Rehn («siamo in costante contatto con gli Usa anche se non siamo d'accordo su tutto») sono stati travolti dalle bordate sparate da Juncker («non accettiamo lezioni da oltreoceano, il fallimento di Lehman Brothers non è stato certo colpa dei disoccupati greci, è scandaloso che spesso si dimentichi la vera origine della crisi») e da Schaeuble. «Non credo che i problemi dell'Europa siano gli unici che hanno gli Stati Uniti anche se Obama pensa il contrario», ha detto il ministro tedesco. Il quale ha colto l'occasione per ricordare all'Italia e agli altri Paesi in difficoltà l'urgenza di rimettere a posto i conti e fare le necessarie riforme strutturali. Certo il prezzo pagato per la risposta tedesca è stato un forte apprezzamento dell'euro tornato sopra quota 1,36 contro il dollaro. Un apprezzamento della moneta unica, benedetto dall'ansia rigorista di Berlino, ma che ha interrotto il trend di accomodamento della divisa europea verso valori più consoni al potenziale economico dell'area. Valori che portano beneficio all'economia europea grazie all'impulso trasmesso alle esportazioni. Niente da fare. Berlino combatte strenuamente per difendere l'euro a costo di fabbricarsi in casa la recessione. Ieri è stata anche a giornata in cui il leader greco Giorgio Papandreou è andato dalla cancelliera Angela Merkel per sondare di persona il terreno sulle intenzioni della Germania nei confronti del salvataggio del suo Paese dopo il varo dell'ennesimo piano lacrime e sangue. «La Grecia è sulla «buona strada» con il piano di «privatizzazioni» e le «riforme politiche e amministrative», ha detto Merkel allontanano almeno per il momento, lo spettro del fallimento di Atene. Intanto la Commissione Ue, nel quadro delle risposte alla crisi, ha trovato un accordo sulla proposta di direttiva per introdurre, a partire dal 2014, un sistema comune per tassare le transazioni finanziarie. I dettagli del provvedimento saranno resi noti oggi dal presidente dell'esecutivo Ue, Barroso.