Fallimento e rinascita
La contemporaneità non fa sconti. Se gli Stati Uniti non riescono a trovare la cura dopo l'intossicazione finanziaria, l'Europa si lambicca su come interrompere la sua vita a debito. Parliamoci chiaro, i governi stanno seduti sulla nitroglicerina dell'inettitudine. La Grecia ha il novanta per cento di probabilità di fallire, la Bce per la prima volta non esclude il crac. Era questa la via da seguire mesi e mesi fa, senza perdere tempo e imporre a un popolo una ricetta che conduce alla guerra civile. Se la gente ha fame, se ne infischia della partita doppia degli gnomi della finanza. Brucia la casa di chi lo affama. Punto. Il collasso di Atene è in questi fatti e numeri: 353 miliardi di euro di debito pubblico (cinque volte quello dell'Argentina quando crollò nel 2001), due salvataggi inutili e tre anni di recessione. Capolinea. Credit Suisse ha messo le mani avanti e fatto i conti della dissoluzione dell'Euro. Non si sa mai. Mentre Atene brucia, Roma si contorce in una babele di ridicoli penultimatum. Confindustria presenta un manifesto che serve a fare titoli di giornale ma non aggiunge niente sul tavolo delle soluzioni concrete. I sindacati sono archeologia industriale, l'establishment sta alla finestra aspettando la caduta di Godot-Berlusconi. Nessuno tiene conto di una cosa: il nostro debito ha un rating da Paese in difficoltà ma in grado di far fronte alla sfida. L'Italia è ricca e può farcela. Basta avere visione e coraggio, perché la volatilità dei mercati sarà una condizione normale per lungo tempo e ci saranno cadute rovinose e formidabili riprese. È la storia che si fa e disfa sotto i nostri occhi. Dove qualcuno perde, altri guadagnano. È la legge di Wall Street, «il denaro non dorme mai», soprattutto quando i governi ronfano.