Guerra aperta sui nostri soldi
Le borse sono sotto un bombardamento planetario: il Dow Jones sta per bucare il pavimento dei 10 mila punti, tornando indietro di oltre un decennio; piazza Affari ha sfondato i 14 mila, considerato un supporto strategico di resistenza. Se noi siamo al Piave, gli americani sono sul tetto dell'ambasciata di Saigon, gli inglesi a Dunkerque, i francesi a Vichy. Neppure la super-Germania se la passa meglio: la Cancelleria assomiglia a un bunker, con tutte le sue sinistre memorie. Qui, chi volesse il 51 per cento di Intesa se lo prende con 8 miliardi: una bazzecola per un Warren Buffett di passaggio. Scopriamo che non c'è più nulla il cui rating non possa essere declassato: Italia, Usa, Giappone; la Fiat; le nostre banche, quelle francesi, domani le tedesche. Siamo tutti sotto downgrading, eppure sarebbe interessante capire dove vanno i soldi perché la regola che per ognuno che vende qualcuno compra non è stata ancora abrogata. Quando lo scopriremo vedremo il vincitore di questa guerra. Intanto ne conosciamo gli sconfitti: la classe dirigente americana ed europea, i banchieri centrali con le ferree e contrastanti religioni (quelli americani predicano il denaro facile, i tedeschi l'esatto opposto); gli industriali che guardano solo a Cina, Brasile e Turchia; i top manager tornati ai bonus milionari. E certo i politici. In questa situazione in Italia pare a molti un'idea vincente quella di sfrattare il Cavaliere. Fatto questo, risolto il problema. Al trio Bersani-Di Pietro-Vendola si è aggiunta Emma Marcegaglia. Partita per abolire il contratto nazionale, lascia la Confindustria a dov'era vent'anni fa, ai piedi del totem della concertazione e della Cgil. Il crollo dei mercati è impressionante. Quello dei cervelli ancora di più. Che ci sia un nesso?