Lo champagne bancario
La Bce, la Bank of Japan, la Federal reserve, la Bank of England e la Swiss national bank hanno deciso, con un blitz coordinato, di offrire champagne al sistema bancario europeo attraverso, testualmente, “operazioni di immissione di liquidità in dollari con una scadenza di circa tre mesi per coprire il periodo fino alla fine dell’anno”. Le borse, dove le banche la fanno da padrone, hanno logicamente brindato. E ovviamente non possiamo che esserne soddisfatti. Il risultato è che tra mercoledì e ieri abbiamo assistito a recuperi miracolosi, anche a doppia cifra, per quei titoli che fino a martedì scorso erano stati duramente mazzolati. A piazza Affari Intesa ha segnato più 10,27 per cento, Unicredit più 6,9. Tre giorni fa i due stessi maggiori istituti italiani avevano fatto registrare, entrambi, i minimi storici. Stessa cosa al Cac 40, l’indice di Parigi: rialzo record per Bnp Paribas (più 13,38), Societe Generale e Credit Agricole. Tutte e tre reduci anche loro dal minimo storico del 13 settembre. E dunque, doppiamente champagne, e millesimato, che ha innaffiato particolarmente il listino e le banche francesi: sulle quali ad inizio di settimana si era abbattuto il declassamento di Moody’s (per SoGen e Credit Agricole), e la minaccia di revisione (per Bnp), causa l’elevata esposizione sul debito greco e di altri Paesi a rischio. Tra i quali, va detto, anche l’Italia, visto che le banche francesi sono le prime detentrici straniere dei nostri Btp. Sia chiaro: delle bollicine hanno beneficiato tutti, comprese le banche tedesche e americane. Ma dove si è fatto davvero festa è stato in Francia e in Italia, che nel credito è la prima tributaria dei francesi. Assaporate le bollicine - e per i bravi, i fortunati ed i furbi incassati anche i cospicui guadagni - bisognerebbe forse guardare un po’ più in là del proprio naso. E magari farsi alcune domande. La prima: che succederà a fine anno, quando i cordoni della borsa torneranno nuovamente a stringersi? Seconda domanda: in una fase di rischio di recessione occidentale, che sarebbe la seconda dal 2008, perché si beneficiano di nuovo le banche e non l’economia reale? Terza domanda che riguarda in particolare noi europei: che linea segue la Bce, quella del denaro facile o del rigore, visto che fino a luglio ha aumentato due volte i tassi d’interesse? Si era sbagliata? Aveva scherzato? In attesa di scorgere le risposte nei fatti, abbiamo la sensazione di assistere ad un film già visto. Quello, appunto, post Lehman Brothers. Allora tutti, dalla Casa Bianca al governo di Sua Maestà britannica, da Angela Merkel a Nicolas Sarkozy, corsero in soccorso delle banche. Alcune, in Inghilterra, Olanda e dintorni, furono nazionalizzate. Altre usufruirono di abbondanti aiuti pubblici. Nessuno ha dimenticato che la Goldman Sachs si è salvata grazie ai 10 miliardi di dollari del programma Tarp, avviato ancora prima di Obama dall’amministrazione Bush. Bene, oggi Goldman è la prima banca del mondo, presenta un bilancio smagliante e luccicanti benefit per i suoi top manager. Stessa cosa per Bank of America, che non solo è divenuta padrone di un’altra firma sacra come Merril Lynch, ma ha anche recentemente beneficiato di un investimento da 5 miliardi di dollari di Warren Buffett, il guru di Wall Street proprietario del potentissimo fondo Berkshire Hathaway (per inciso, primo azionista di Moody’s). A condizioni, si intende, particolari: emissione speciale di 50 mila azioni privilegiate con cedola blindata del 6 per cento. Il maxisalvataggio delle banche, quasi ad espiazione del fallimento Lehman, fu giudicato da tutti un errore nei modi e nelle dimensioni. Anche perché ha contribuito a legare sempre più le fortune e le sfortune della finanza privata con quelle dei governi; ed i risultati si sono visti quando è esplosa la crisi dei debiti sovrani. Per dire: se Francia e Germania traccheggiano da un anno e mezzo sulla Grecia è solo perché le loro banche sono le prime due creditrici del debito pubblico di Atene. Questo intreccio non molto trasparente è stato mirabilmente spiegato in un report di Jp Morgan attraverso i personaggi del Lego: un documento che Il Tempo ha anticipato. Quel dossier poneva una domanda: “The political impasse in Europe: who should pay for current and future sovereign/bank bailouts”? Cioè: chi paga per i fallimenti attuali e futuri dei debiti sovrani e delle banche? Abbiamo citato la frase originale in inglese non per esterofilia, ma perché contiene un dettaglio che la dice lunga: la barra. Quando JpMorgan scrive “sovereign/bank” tocca il nervo del problema. E forse spiega anche perché ieri gli austeri banchieri centrali americani, europei, inglesi, giapponesi e svizzeri – che sono dei servitori pubblici – abbiano deciso di aprire i portafogli a beneficio dei loro colleghi privati. Mossa discutibile per i tempi e i modi, e ancora di più quando si chiede a tutti i governi misure di rigore e sacrifici ai cittadini, alle imprese e al lavoro? Oppure un lungimirante e coordinato intervento anti-speculazione? O, semplicemente, un calmante i cui effetti scadono fra tre mesi? Lo vedremo. Per la cronaca, tra i personaggi del Lego di JpMorgan quelli che alla fine pagano il conto sono i colletti bianchi e le tute blu. Insomma, noia.