L'Occidente è in declino. È arrivato il turno dell'Asia
E adesso che farà Standard & Poor's, minaccerà di declassare la Germania? Il vertice Merkel-Sarkozy è stato preceduto dalla notizia della frenata del Pil tedesco: più 0,1 per cento nel secondo trimestre ben al di sotto delle attese degli analisti che stimavano un più 0,5. E questo già la dice lunga sull'attendibilità degli strumenti di previsione, e quindi di governo dell'economia, in base ai quali si decidono i destini di questa parte di mondo. Almeno del nostro. La frenata della locomotiva germanica segue di pochi giorni quella Francia, reduce da due trimestri di economia stagnante e quindi tecnicamente a rischio recessione. Di fatto il summit tra Sarkò e la Cancelliera, che doveva tracciare la rotta per l'Europa, si è trasformato in un tete-à-tete tra due leader seriamente intaccati nella materia prima, la leadership appunto. Un anno fa la Germania sembrava avere la ricetta giusta per tutto: rigore nei conti, economia a gonfie vele. La Francia seguiva al solito un po' arrancando ma ben conscia del suo ruolo nell'asse Berlino-Parigi. Dodici mesi, e anche queste certezze si stanno dissolvendo: la Germania (e la Francia) crescono meno dell'Italia, che almeno fa segnare un più 0,3. L'intera Eurolandia segna il passo con uno 0,2 certificato da Eurostat. Con tutto quello che ne consegue sulle borse e sui mercati dei titoli pubblici. Germania e Francia a crescita zero sono la novità che sovrasta almeno per un po' a livello internazionale il rischio Italia e le polemiche sulla manovra. Ovviamente non le cancella, anche perché la stessa maggioranza, dal Cavaliere in giù, fa a gara per seminare dubbi e promettere miglioramenti: li attendiamo con (scarsa) fiducia. Ma tutto ciò ci conferma in una convinzione: l'Occidente, dagli Usa all'Europa, si è preso un virus molto serio, una polmonite, di cui porta interamente le colpe. Basta vedere la classifica dei debiti pubblici del mondo: Usa, Giappone, Germania, Italia, Francia, Gran Bretagna, Canada. Tutti con percentuali oscillanti dall'80 al 200 per cento del Pil. E tutti, contemporaneamente, con percentuali di crescita minime. Ma chi sono questi sette samurai del debito? Ma sì, sono quelli del vecchio club del G7. Le economie che fino a non molto tempo fa si riunivano in pompa magna nei resort più esclusivi, da Versailles a Williamsburg, per rassicurare se stessi e dettare l'agenda agli altri. Poi è arrivata la Russia e qualcosa è cambiato. Quindi la Cina. Quindi il crac Lehman Brothers, la Grecia, ed ora ecco profilarsi una seconda crisi dovuta stavolta non alla finanza ma al debito ed alla stagnazione. La teoria della crisi non a V, ma a W, con due fasi depressive prima di tornare a vedere la luce, si sta insomma materializzando. Ma tutto ciò è una fatalità, basata cioè su elementi contro i quali non si può far nulla, oppure è un problema che sarebbe rimediabile se l'Occidente avesse uno scatto d'orgoglio e leadership diverse? I dati oggettivi purtroppo non mancano: nella classifica che abbiamo citato subito dopo il Canada, con un debito dell'82 % del Pil, vengono il Brasile e la Cina, il cui indebitamento è pari rispettivamente al 37 ed al 17 per cento del loro prodotto lordo. Quindi tra i primi sette paesi occidentali e due delle maggiori economie emergenti c'è un abisso profondo come la fossa delle Marianne. Aggiungiamo che India, Messico, Turchia, Russia, hanno tutti debiti inferiori a metà del Pil, e vediamo facilmente come gira e girerà il mondo. Gli unici due paesi che possiamo considerare inseriti nel contesto occidentale (benché geograficamente ai nostri antipodi), e con bassi debiti e buone prospettive economiche sono l'Australia e la Corea del Sud. Con l'indebitamento pubblico così basso, il tasso di natalità in pieno sviluppo, la voglia di consumi delle loro giovani popolazioni ed il Pil che sebbene tra alti e bassi continua a viaggiare a ritmi tra il 5 ed il 10 per cento, è evidente che sarà l'altra parte di mondo a dettare le regole a noi occidentali. Eppure, che cosa ha fatto il nostro mondo per meritarsi il contrario? Ha reagito alla prima crisi, quella nata a Wall Street e dintorni, finanziando con denaro pubblico le banche e senza spedire in gattabuia neppure uno speculatore. Ciò vale in particolare per gli Usa di Barack Obama, ma anche per Germania, Francia, Gran Bretagna. Oppure, quando non ha dato soldi dei contribuenti alle banche, ha continuato nel tran tran di sempre, con manovre e manovricchie di nuovo a carico dei contribuenti, per tenere in piedi un sistema di welfare barocco e insostenibile ed accontentare questa e quella corporazione: è ovviamente il caso dell'Italia, ma anche del Giappone e del Canada. Ha inoltre consegnato alla volpe (le agenzie di rating) la chiave del pollaio, mentre si scrivevano fiumi di parole sulle mitiche nuove regole finanziarie. Inoltre né di là né di qua dall'Atlantico nessuno ha realizzato le vere riforme che servirebbero. Ne elenchiamo qualcuna: sistemi fiscali più equi, leggi meno protezionistiche, norme ultra-severe contro i grandi speculatori. Ma anche l'unione degli sforzi per finanziare un "New Deal 2.0": non si tratta più di piantare pali della luce nel deserto come ai tempi di Roosevelt, ma di realizzare grandi reti wi-fi, e nel caso dell'Italia o della Spagna di disinquinare le coste, perché è inconcepibile che l'intero litorale romano sia dieci volte più inquinato di quello di Los Angeles. Costa tutto questo? Certo, ma come si esce dalle grandi crisi? Taglieggiando gli stipendi e le tredicesime del lavoro dipendente? La Germania non vuole gli eurobond (per ora) che dovrebbero servire a rilanciare l'Europa. Speriamo ci ripensi. Siccome tutto ha un perché e perfino nomi e cognomi, è giusto ripetere come mai ci stiamo facendo così del male con le nostre mani. Prima ancora di perdere la Lehman Brothers e la Grecia, l'Occidente si è giocato un'altra cosa: la leadership politica, economica e perfino militare. In pratica, tutta quanta la propria credibilità. Ha esaurito la spinta propulsiva, per usare la formula applicata all'Urss. L'epicentro di questo incredibile vuoto è attualmente la Casa Bianca, ma anche l'Europa ci mette del suo. D'altra parte Usa, Germania, Francia, Italia, Spagna, sono tutti paesi in cui nei prossimi due anni si andrà a votare. Anziché grandi progetti per uscire dalla crisi con una nuova visione del mondo, i nostri scricchiolanti capi di stato e di governo tengono d'occhio il barometro elettorale: che per giunta tende al peggio.