La "tobin tax" non piace alle Borse
La Ue, sotto la spinta dell'asse franco-tedesco, accelera sulla tassa per le transazioni finanziarie che conta di presentare prima del G20 di inizio novembre ma dalle banche e il comparto finanziario, oltre che da diversi governi fra cui quello britannico attento alle esigenze della piazza di Londra, l'olandese e lo svedese arriva subito un fuoco di sbarramento. Il no delle banche inglesi Hanno subito espresso critiche l'associazione delle banche britanniche, quella degli istituti tedeschi (ma non le casse di risparmio che si sono dette favorevoli), quella dell'Irlanda e i rappresentanti delle banche d'affari europee (Afme). Francia e Germania porteranno in Europa la proposta già all'inizio di settembre mentre la Commissione presenterà una bozza e una valutazione del potenziale economico della misura prima del G20 di Cannes il 3 e 4 novembre. Secondo alcune stime l'imposta potrebbe generare introiti fino a 200 miliardi di euro mentre la Commissione in una prima stima la quantifica in 54 miliardi comprendendo le transazioni sulle valute. Tutti contrari Negli scorsi anni è sempre stato folto il coro di no alla misura, fra i quali, oltre al governo italiano (sia del premier Berlusconi che del ministro Tremonti) i paesi emergenti e gli Stati Uniti, si annovera anche la Bce sia con l'attuale presidente Jean Claude Trichet che il suo prossimo successore Mario Draghi. Sia pure con sfumature e motivazioni diverse, i contrari battono il tasto sui potenziali squilibri e effetti depressivi di una misura che non garantirebbe stabilità ma solo introiti aggiuntivi per le casse nazionali o comunitarie oltre che essere poco efficace se non adottata a livello mondiale o quantomeno da Usa e Giappone. Proprio da Draghi nella recente audizione al Parlamento europeo era arrivata una spiegazione per il suo "scetticismo". "Dubito che ci porti benefici effetti - scriveva - aumentando i costi delle transazioni, tale tassa riduce la liquidità del mercato". Dall'altra: "La messa in opera di tale tassa implicherebbe enormi difficoltà pratiche". Inoltre "se non fosse adottata in tutto il mondo" la tassa "quasi certamente condurrebbe off-shore i mercati valutari". Una posizione molto simile a quella espressa dall'Abi nella sua risposta alla consultazione della Commissione dove la definiva "una ipotesi non concretamente realizzabile" in caso di imposizione solo a livello europeo. Motivazioni, almeno formalmente, alla base anche del no del governo britannico che teme un deflusso di capitali dalla piazza finanziaria di Londra già alle prese con le difficoltà della crisi. Una marcia indietro peraltro rispetto alla posizione dell'ex premier laburista Gordon Brown che proprio sulla Tobin tax aveva puntato molto senza successo. A livello del G20, che al vertice di Pittsburgh nel 2009 aveva chiesto al Fondo Monetario di esplorare le diverse opzioni, permangono poi forti resistenze e l'Europa sembra puntare quindi ad andare avanti da sola. Lo stesso Fmi aveva lo scorso anno nel suo rapporto finale optato per una tassa sulle attività finanziarie (comprendendo quindi gli utili e i bonus dei gruppi) come la più adatta per far pagare al settore i costi della crisi assunti dal pubblico sebbene non avesse escluso che la tassa sulle transazioni, peraltro già presente seppure in forma diversa in molti paesi G20, potesse essere utile per altri scopi. Molti osservatori ritengono infatti che questa potrebbe scoraggiare l'assunzione di rischi eccessivi e riequilibrare un sistema oramai datato, fondato sul carico fiscale verso la manifattura e l'industria e meno sulla finanza. La "tobin tax" non piace alle Borse Fuoco incrociato dell'industria finanziaria contro la Tobin Tax in salsa franco-tedesca. La proposta della cancelliera Angela Merkel e del presidente Nicolas Sarkozy di introdurre una tassa sulle transazioni finanziarie ha raccolto un coro di no da banche e borse, timorose del balzello con cui i due leader vorrebbero chiamare il sistema finanziario, complice della crisi attuale, a contribuire alle traballanti finanze pubbliche dell'Ue. In attesa di capire come la proposta possa diventare una misura concreta, la reazione sui listini è stata di forte disappunto. Male Deutsche Boerse (-5%), Nyse-Euronext (-4,7%), Bolsa Y Mercados (-5,1%) e London Stock Exchange (-2,8%), cioè le società che gestiscono le Borse, così come quelle che prestano servizi finanziari come Icap e Ig Group (-3,7%). Ma hanno sofferto anche le grandi banche che dal trading traggono profitti e affari: Commerzbank ha perso il 5,1%, Barclays il 4,4%, Rbs il 3,7% e Bnp il 2,75%.