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Non sarà un secolo americano

Barack Obama

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Il compromesso raggiunto all'ultimo momento negli USA, fra l'aumento del tetto del debito ed il piano per il suo rientro, eviterà il default degli USA e, quindi, una nuova grave crisi finanziaria mondiale. La soluzione ha costituito un successo per i Repubblicani. Il presidente ne è uscito indebolito, anche nei riguardi dell'ala più radicale dei Democratici, furiosi perché il compromesso prevede consistenti tagli alle spese sociali e sanitarie, anziché aumenti delle tasse. L'unica cosa che Obama ha ottenuto è che l'aumento del tetto del debito copre le esigenze di due anni. Le elezioni presidenziali del 2012 non saranno influenzate da una tragicommedia simile a quella verificatasi a fine luglio, per il ricattatorio collegamento fatto fra due provvedimenti indipendenti fra di loro. La credibilità ed il prestigio degli USA hanno subito un duro colpo.   Superpotenza a debito Comunque sia, la soluzione è solo una misura tampone. Non risolve i problemi strutturali della finanza americana e mondiale. I tempi della politica sono sempre più corti di quelli dei problemi reali. In Usa, le difficoltà sono aumentate dalla polarizzazione del sistema politico sulle ali estreme. Impedendo accordi bipartisan, essa erode l'affidabilità di Washington, non solo in campo economico, ma anche come garante della sicurezza internazionale. Le ragioni non sono solo politiche e contingenti. Sono oggettive. Non era mai avvenuto nella storia che la grande potenza, pilastro dell'ordine mondiale, fosse una potenza a debito. Il deterioramento della situazione finanziaria ha sempre segnato la fine degli imperi. Il XXI secolo non sarà un «secolo americano». Non si può prevedere che cosa sarà. Sicuramente non un «secolo cinese», né - tanto meno - uno europeo. Come il dentifricio Debiti pari, o superiori, al 100% del Pil non sono nuovi. In passato, erano stati prodotti dalle grandi guerre, il cui finanziamento è sempre stato effettuato con prestiti e non con l'aumento delle tasse. Esso avrebbe eroso il sostegno dell'opinione pubblica. I debiti di guerra non sono mai stati rimborsati con la crescita ed il conseguente aumento delle entrate, né con tasse straordinarie sui patrimoni. L'unica eccezione è stata quella della Gran Bretagna dopo le guerre napoleoniche: Londra rimborsò i debiti con l'aumento delle entrate permesso dal bottino di guerra. Generalmente, i debiti sono stati pagati con l'inflazione, la svalutazione ed i default. L'inflazione è lo strumento meno impegnativo politicamente, ma più ingiusto. Trasferisce la ricchezza dai risparmiatori ai debitori. Indebolisce le classi medie, pilastro di tutte le democrazie. È poi difficile da gestire e da far rientrare. Come ha afferrmato il capo della Bce - Jean-Claude Trichet - è come il dentifricio: facile da far uscire, ma difficile da rimettere nel suo tubo. Nonostante questo, Kenneth Rogoff sostiene che il rientro del debito europeo dovrebbe essere accelarato con un'inflazione programmata del 4-6%. Secondo l'economista di Harvard, se il debito non si riducesse a livelli inferiori al 70-80% del Pil, non potrebbe ripartire la crescita. Sostenere il «mostro» In circostanze normali, per evitare il «mostro» dell'inflazione, i governi preferiscono convivere con il «mostro» del debito e puntano sulla sua sostenibilità. Essa è possibile solo con un'elevata crescita, che aumenti le entrate, e con bassi tassi d'interesse, che riducano il peso del servizio del debito. Tali provvedimenti sono contrapposti fra di loro. Si deve trovare un difficile compromesso fra di loro. In Italia, prima dell'entrata nell'euro, il servizio del debito ammontava all'11% del PIL. Si era ridotto al 5% circa, per i bassi tassi d'interesse di Eurolandia. Alquanto spensieratamente, tale risparmio del 6% del Pil è stato «bruciato» con aumenti della spesa corrente. Ora ci tocca leccarci le ferite. L'ora della verità si avvicina Escludendo default ed inflazione, non resta come alternativa che il congelamento dell'aliquota non sostenibile del debito presso istituzioni finanziarie, come la Bce oppure il Fmi. Lo hanno proposto economisti del calibro di Paolo Savona e di Alberto Quadrio Curzio. È anche la logica degli eurobonds, suggeriti da Tremonti e da Junker. Secondo Quadrio Curzio, con l'emissione da parte della Bce di 2.300 miliardi di titoli, a tasso d'interesse contenuto, si congelerebbe il 25% del debito pubblico di Eurolandia. Quello esposto al mercato, diminuirebbe al 60%; per l'Italia al 95% del Pil. Il provvedimento andrebbe accompagnato da una politica di estremo rigore. Senza di essa, aumenterebbero i tassi per la parte del debito rimasta esposta al mercato. Si rischierebbe di strozzare la crescita e di creare rivolte sociali. In tutto l'Occidente, la soluzione del problema del debito è aggravata dalla demografia. L'età mediana della popolazione aumenta, soprattutto in Europa ed in Giappone, ma anche in Cina e in Russia. L'invecchiamento della popolazione provocherà un aumento delle spese sociali e sanitarie. Quindi, la diminuzione della crescita. I debiti non potranno più essere scaricati sulle future generazioni. L'ora della verità sta rapidamente avvicinandosi. Non sono ammesse indecisioni e dilazioni. Vincitori e vinti La globalizzazione ha aumentato l'interdipendenza e la competizione fra gli Stati. Produce vincitori e vinti. La politica deve porre il proprio sistema-paese dalla parte dei vincitori, di quelli cioè che approfittano dei vantaggi della globalizzazione. Non si può sperare nella solidarietà internazionale, quando i suoi costi superano i vantaggi che ne traggono i paesi donatori. I grandi squilibri mondiali - gli Usa che consumano più di quello che producono; Europa e Giappone che registrano una crescita troppo bassa; la Cina che produce più di quanto consuma e che conosce preoccupanti squilibri interni, sia sociali che territoriali - non possono essere corretti con accordi internazionali, anche se proprio essi sono le vere cause della crisi. Lo si è visto nella riunione del G-20 a Seul. Il gruppo ha certamente evitato una recessione mondiale, derivante dal protezionismo e dalla «guerra fra le monete». Ma quando ha cercato d'incidere sugli squilibri, sono prevalsi gli interessi nazionali dei singoli paesi, troppo diversi fra di loro per consentire soluzioni di compromesso. Permangono, quindi, le condizioni per una nuova crisi. Essa si preannuncia disastrosa. Anche per questo, in Europa, non ci si può più «baloccare» con debiti chiaramente non più sostenibili.

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